Arrestato Rosso, carica comprata come Giuliano l’imperatore
- direzione167
- 5 giu 2022
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TORINO/Voto di scambio politico-mafioso al Consiglio regionale

TORINO. Scambio elettorale politico-mafioso. Il candidato paga e i boss gli procurano grappoli di voti. Questa l'accusa che ha portato in carcere Roberto Rosso, storico esponente del centrodestra piemontese, fino a giovedì assessore regionale agli Affari legali. Nelle prime ore di ieri, la Guardia di finanza ha bussato alla sua porta di casa e gli ha consegnato un ordine di custodia cautelare in cui il gip del tribunale di Torino Giulio Corato che lo paragona a Didio Giuliano, l'antico senatore romano che secondo gli storici comperò il trono di imperatore messo all'asta dai pretoriani. Rosso, secondo gli inquirenti, ha versato 7.900 euro agli intermediari di Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, due presunti pezzi da novanta della 'ndrangheta, in occasione delle ultime regionali, a maggio, dove correva per Fratelli d'Italia ed è stato eletto con 4.477 voti. Meno del previsto. Tanto che in un primo momento, dopo l'acconto, non voleva versare il saldo. Poi gli hanno fatto sapere che "Francesco era imbufalito nero". E ha pagato. Nell'ordinanza, c'è anche la traccia di una trattativa (che però non è contestata nel capo d'accusa) con un altro personaggio, ex assessore di un piccolo Comune provvisto di una lunga serie di precedenti di polizia, che gli promette 20 voti. Se il gip scrive di essere "sconcertato", il presidente della Regione, Alberto Cirio, si dice "allibito" e accoglie subito le dimissioni che Rosso firma di suo pugno dal carcere. Giorgia Meloni dà il benservito all'ormai ex assessore da Fdi sottolineando che "aveva aderito al partito solo da un anno" e aggiungendo di "avere il voltastomaco". Ma il governatore Cirio, berlusconiano di ferro, nel pomeriggio di ieri rilascia una dichiarazione che sembra aprire un caso politico: "Io in giunta volevo gente tutta nuova. Fdi ha deciso d’indicare diversa mente". La vicenda Rosso è un tassello di 'Fenice', un'inchiesta della guardia di finanza con il coordinamento della Dda che in totale ha portato a otto arresti e al sequestro di beni per 16 milioni di euro tra imprese, immobili e conti correnti in tutta Italia. Al centro, c'è l'attività degli emissari del clan Bonavota (di Vibo Valentia) in provincia di Torino e, in particolare, di Onofrio Garcea, arrivato dalla Liguria con l'incarico di riorganizzare i gruppi dopo le retate dello scorso marzo nella zona di Carmagnola. "Ne è emerso - spiega Anna Maria Loreto, procuratore capo a Torino - un fenomeno criminale infiltrato nel territorio a livelli sempre più alti". Figura centrale è quella di Mario Burlò, imprenditore torinese a capo della Oj Solution con il pallino delle sponsorizzazioni sportive nel basket (Torino, Sassari) e nel calcio (Torres). Secondo gli inquirenti, ha adottato un complesso schema di violazioni fiscali che gli ha permesso di accumulare "compensazioni indebite" per milioni. L'enorme liquidità è stata sfruttata per operazioni immobiliari: la prima è stata l'acquisto di una villa appartenuta al calciatore Arturo Vidal (estraneo ai fatti). I componenti della cosca, operando al suo fianco, hanno ottenuto "profitti ingenti" e "il controllo di attività economiche". Ma la 'ndrangheta ha allungato le mani anche sulla politica. Onofrio Garcea, alle ultime regionali, si è interessato a un candidato di Forza Italia (oggi consigliere di una circoscrizione a Torino). Sono stati documentati incontri elettorali con degli onorevoli berlusconiani in cui, tra l'altro, si è detto che "i lavori del Tav a Chiomonte devono continuare". E Rosso, come maliziosamente annotano i finanzieri, non poteva non sapere con chi aveva a che fare. Nel 2012, da deputato, fu tra i firmatari di un'interpellanza dove, nel denunciare l'intreccio fra 'ndrangheta e politica, si facevano dei nomi: uno era proprio quello di Garcea.
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