Boris resta in netto vantaggio
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
GB/ULTIME ORE FRENETICHE PRIMA DEL VOTO, CORBYN INDIETRO NEI SONDAGGI

di Alfonso Logroscino
LONDRA. Difendere il vantaggio che i sondaggi - almeno in media e salvo figuracce non inedite - continuano ad accordagli. E’ la missione del soldato Boris Johnson, in marcia frenetica di collegio in collegio, su e giù per l’isola come i leader rivali, nelle ultime 48 ore che precedono la resa dei conti delle elezioni britanniche di giovedì: decisive per lui, per la Brexit, per il destino prossimo venturo del Regno e delle quattro nazioni che lo compongono. Un bottino ancora cospicuo di una decina di punti in più sui laburisti, a credere all’incrocio delle diverse rivelazioni, tra cui pure non manca qualche eccezione assai meno favorevole. E che il premier Tory ha bisogno di salvaguardare dalle gaffe e dalle alzate d’ingegno proprie, se non vuol mettere a rischio l’obiettivo chiave di una maggioranza assoluta “operativa” nella Camera dei Comuni entrante, ancor più che non dagli attacchi altrui e dai tentativi di rimonta del Labour neosocialista del vecchio barricadiero Jeremy Corbyn: in recupero solo parziale, stando ai pronostici dei più, e a sua volta in imbarazzo per una telefonata privata carpita a uno dei più moderati dei suoi ministri ombra, Jon Ashworth, nella quale questi ammette - “scherzando” - di considerare oggi “disperate” le chance di vittoria sotto la leadership del compagno Jeremy. Aggrappato al tormentone ‘Get Brexit done’, portiamo a compimento la Brexit, BoJo si rivolge intanto sia all’elettorato euroscettico sia a quello più genericamente stanco dello stallo e delle divisioni dopo 3 anni e mezzo dal referendum sull’uscita dall’Ue del 2016. E punta il dito contro “l’estrema sinistra” corbyniana come un fattore di incertezza tanto sulla Brexit quanto sull’immigrazione, sulle tasse o sulla spesa pubblica, presentandosi come unica garanzia di “stabilità”. Su di lui pesa però l’eco di una serie di scivolate, vecchie e nuove. L’episodio più increscioso resta quello della foto del piccolo Jack, un bambino malato di polmonite e abbandonato per terra in un ospedale di Leeds, che egli si è rifiutato di guardare di fronte alle telecamere. Un caso su cui molti continuano a martellare, malgrado gli sforzi del partito conservatore di minimizzarne la portata e far quadrato. E che Corbyn, paladino convinto della tutela del sistema sanitario pubblico del Regno (Nhs), insiste a denunciare come “un problema politico”. Per disinnescarlo, qualche sito filo-Tory ha provato a liquidare quell’immagine come una messa in scena. Ma la funzionaria dell’ospedale dal cui profilo Facebook era stata nata la tesi complottista, ha smentito tutto: non solo ribadendo l’autenticità della foto (e dello scandalo), ma anche rivelando un’inquietante intrusione nel suo account di oscuri hacker. Se non bastasse, su Johnson si sono allungate ulteriori ombre per una frase velenosa sui cittadini Ue (che nella sua retorica troppo a lungo “hanno trattato il Regno Unito come se fossero parte di questo Paese” nell’accesso ai servizi sociali) rimbalzata da un comizio. Parole usate per giustificare i filtri sull’immigrazione che Boris promette di voler introdurre, ma che per Jo Swinson, leader LibDem, rischiano di diventare una forma d’istigazione ai “crimini d’odio” contro “milioni di persone”. Intanto saltano fuori dal passato giornalistico di Boris battute politicamente scorrette, se non insulti, riservate in carriera un po’ a tutti: dai neri ai gay, dai musulmani agli stessi ebrei, a dispetto della sua nomea di amico fidato d’Israele, Paese da dove gli allarmi investono semmai le lacune sull’antisemitismo imputate al ‘filo palestinese’ Corbyn. Mentre non manca la presa in giro di Hugh Grant, star del cinema divenuto attivista anti-Brexit e anti-Tory, su un video spot fresco di produzione ispirato alla commedia ‘Love Actually’ in cui Johnson si presta a parodiare la scena di culto dell’innamorato di Keira Knightley, esponendo slogan brexiteer invece che messaggi romantici. Ma guardandosi bene, sfotte Grant, dal mostrare il cartello del film originale secondo cui almeno sotto Natale si dovrebbe “dire la verità”.
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