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“Capitalismo d’assalto”

EX ILVA/ATTACCO DEI COMMISSARI ALLA GESTIONE AZIENDALE


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di Igor Greganti e Francesca Brunati

MILANO. Arcelor Mittal ha portato avanti le “consuete logiche” di “un certo tipo di capitalismo d’assalto secondo le quali se a valle dell’affare concordato si guadagna, allora ‘guadagno io’, mentre, se invece si perde, allora ‘perdiamo insieme’”. E’ un duro attacco alla gestione aziendale del gruppo franco indiano, e non solo alle mosse per recedere dal contratto, quello sferrato dai commissari dell’ex Ilva, attraverso i loro legali, nella memoria depositata nella causa civile a Milano. Un documento di 86 pagine nel quale gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni sottolineano, ad esempio, che la conferma che Mittal abbia “continuato a mantenere un magazzino fortemente sbilanciato sul prodotto finito da vendere, anziché sull’approvvigionamento di materie prime destinate ad alimentare la futura attività”, arriva da una grave recente decisione, la “messa in cassa integrazione di 250” lavoratori dell’Altoforno 1 proprio per lo “scarso approvvigionamento di materie prime”. In più, i commissari mettono in evidenza il pesante impatto economico che deriverebbe dall’abbandono dell’ex Ilva da parte del ‘colosso’ siderurgico: “Una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno”.

Mentre, non senza difficoltà, vanno avanti le negoziazioni tra il Governo e il gruppo per raggiungere un’intesa, entro il 31 gennaio, su un nuovo piano industriale per rilanciare il polo con base a Taranto, dopo il pre-accordo siglato a fine dicembre in Tribunale, i legali dei commissari hanno depositato, infatti, alla scadenza del termine fissato da giudice Claudio Marangoni, la memoria di replica a quella presentata a metà dicembre da Mittal, nel procedimento sul ricorso cautelare e d’urgenza dell’ex Ilva contro lo scioglimento del contratto annunciato dall’ad Lucia Morselli a novembre. Nell’atto gli avvocati riprendono molti argomenti già affrontati nel ricorso cautelare contro lo scioglimento del contratto e rispondono all’ultima memoria di Mittal, che potrà replicare entro fine mese. Non è escluso che le due parti possano chiedere un rinvio dell’udienza del 7 febbraio e più tempo per trattare ancora. Intanto, i commissari fanno notare che con la decisione del Riesame di Taranto del 7 gennaio, che ha accolto l’istanza di proroga dell’uso dell’Altoforno 2, è venuto meno “il presupposto di gran parte delle argomentazioni avversarie”. In pratica, è stato spazzato via, secondo l’ex Ilva in amministrazione straordinaria, un argomento, quello dello stop di Afo2, che Mittal ha usato per annunciare l’addio. Accompagnato dalla questione della mancata proroga dello ‘scudo penale’, altro tema che, per i commissari, non è solo “una semplice mistificazione ma piuttosto una conclamata falsità”, usata, si legge, “da ArcelorMittal per sciogliersi da un rapporto contrattuale oggi non più ritenuto nel proprio interesse”. Il vero punto, infatti, è che Mittal stessa ha riscontrato la “propria incapacità di sapere efficacemente gestire i Rami d’Azienda (ed in particolare quello tarantino) nel quadro di un mercato europeo dell’acciaio peggiore di quanto avesse preventivato”. Una “gestione” che, tra l’altro, va tuttora avanti “su una base nettamente depressa ed insufficiente rispetto alla capacità produttiva”. Dunque, a detta dei commissari, Mittal allo stesso tempo viola gli impegni contrattuali presi, “si rifiuta ostinatamente di consentire” verifiche e sopralluoghi, mette in cassa integrazione, cerca di “dimezzare l’occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700" e col recesso punta ad andarsene lasciando un danno “incalcolabile e concretamente irreparabile” anche a carico “dell’intero tessuto socioeconomico delle aree interessate”.

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