Covid, bruciati 42 mld dal Ftse Mib
- direzione167
- 5 giu 2022
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Studio Mediobanca/L’effetto del virus si è abbattuto sui mercati come uno tsunami

di Sara Bonifazio
MILANO. Il Covid-19 è stato "come uno tsunami": Il Pil mondiale ha toccato il fondo, l'area euro ha perso l'equivalente dell'intera economia della Slovacchia e dell'Austria e portando il paragone in Italia "è come se in 6 mesi avessimo perso l'Umbria e la Puglia con 100 miliardi di Pil bruciati" esemplificano gli analisti di Mediobanca. Quando si è abbattuto sulla Borsa, il Ftse Mib ha bruciato 42 miliardi di euro (-11,2% da inizio anno) considerando solo le società industriali e di servizi e ora "si può solo riemergere". "Le aziende sono state colte impreparate ma oggi hanno una maggior consapevolezza e 'nuove levè per il futuro, il digitale e la qualità del Made in Italy" osservano presentando un report dell'Area Studi che analizza l'impatto Cig/Rinvio delle tasse agli autonomi Spunta il fondo casalinghe .I pagamenti delle cartelle restano sospesi fino a metà ottobre della pandemia sui bilanci di oltre 150 multinazionali industriali e le 25 società industriali e di servizi dell'indice Ftse Mib. Websoft (+17,6%), Grande distribuzione organizzata (+9,6%), elettronica (+5,6%) e a breve distanza le aziende farmaceutiche (+1,3%), il food (+0,7%) e i pagamenti digitali (+0,4%) sono state capaci di met- tere a frutto la loro flessibilità e far crescere il loro fatturato mentre le petrolifere (-33,8%), i produttori di aeromobili (-31,8 %), la moda (- 28,4%) e l'automotive (-26,9%) sono crollate. Giù anche il risultato operativo (ebit) per tutti i settori con la moda che vede una battuta d'arresto senza precedenti ( -83,6%), l'eccezione sono sempre Gdo (+24,7%), elettronica (+12%) e webSoft (+2,4%). Stringendo il focus all'Italia le società del Ftse Mib hanno perso quasi 18 miliardi di profitti e chiuso il semestre in rosso. Hanno visto una crescita del risultato netto solo Buzzi (+60,7% per plusvalenze su cessioni), Tim (+23% con la cessione del 26,8% di Inwit), Re-cordati (+13,2%), DiaSorin (+13,1%), Inwit (+4,3%) e Terna (+3%). Per quanto riguarda la struttura finanziaria infine c'è un deterioramento ovunque, risultato del maggior indebitamento (+9,7%) e della contrazione dei mezzi propri (-8,1%). In Borsa a Milano, dopo un primo trimestre pesante (-86 mld, - 22,9%) la ripresa è già iniziata, come dimostrano i dati del secondo trimestre (+44 miliardi, +15,1%). Solo i titoli del settore utilities hanno ottenuto un incremento del valore in Borsa (+2,5%) mentre il petroli- fero è sprofondato (-38,9%), e hanno pagato il conto anche manifattura (-10,8%) e servizi (-18,5%). Qualcuno invece è riuscito anche a guadagnarci, nei settori più resilienti alla crisi come il fintech, il farmaceutico e l'elettronica, con miglioramenti della performance in Borsa a doppia cifra nel primo semestre 2020: DiaSorin (+45,9%), Recordati (+17,9%) e STM (+10,4%). Alla fine hanno mostrato resilienza anche Enel (+8,4%), Inwit (+8,2%), Ferrari (+7,2%) e Terna (+2,7%). Nonostante nuove ombre di contagio la ripresa è iniziata: "sarà lenta, per tornare ai livelli pre Covid bisognerà aspettare almeno tutto il 2021 e arrivare all'inizio del 2022" prevedono gli analisti. 'Non tutti i virus vengono per nuocere’ è questi mesi hanno insegnato alle aziende che gli investimenti vanno focalizzati nel digitale e che le nuove abitudini di consumo si possono sintetizzare nel "qui e ora". "È scattata l'ora X per il digitale: in queste settimane abbiamo visto una rincorsa che non c'era stata in 10 anni ma il tema non è la connettività, per la quale l'Italia è già ben posizionata". Emerge un tema trasversale di strategia e di cultura industriale che va insegnato (gli analisti citanio l'esempio virtuoso di Risorgimento Digitale, il progetto di Tim). Digitale nel suo senso più ampio che significa anche 'roboticà" sottolineano, ricordando le applicazioni emerse nel periodo dell'emergenza come nel settore sanità o per la messa in sicurezza degli ambienti di lavoro. "Non ci sarà più il consumatore di una volta, le aziende devono tener conto delle nuove abitudini, meno acquisti e più qualità" tutto a favore, in linea teorica, del Made in Italy se le aziende sapranno usare bene "le leve per il futuro: digitale e qualità".
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