Di Maio, missione in Libia
- direzione167
- 5 giu 2022
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GOVERNO/INCONTRA SARRAJ E HAFTAR, “LA SOLUZIONE NON PUÒ ESSERE MILITARE”
di Luca Mirone

ROMA. Abbassare le armi e tornare a parlarsi, tutte le anime della Libia, per impedire che il paese esploda. Luigi Di Maio è volato a Tripoli, Bengasi e Tobruk per incontrare i principali protagonisti della crisi, a partire dal premier Fayez al Sarraj e dal suo sfidante, Khalifa Haf- tar: per portare un messaggio, a nome dell’Europa, che la “soluzione non può essere militare”. Non si può negare che l’Italia abbia “perso terreno in Libia”, dirà in serata il titolare della Farnesina al suo rientro a Roma, “ma è il momento in cui deve riprendersi il suo ruolo naturale di principale interlocutore”. Per questo, il Governo ha deciso di nominare “un inviato speciale” che risponderà direttamente al ministero degli Esteri “per poter avere un rapporto di alto livello politico continuo, intenso, con tutte le parti libiche”. Ed è pronto ad appoggiare tutte le iniziative europee utili per frenare l’escalation, a partire dalla conferenza che Berlino sta organizzando per gennaio, ma anche una nuova missione in Libia sotto la guida del nuovo Alto rappresentante Ue Josep Borrell. La visita del ministro degli Esteri, la prima di un esponente del governo da un anno (l’ultima fu quella di Giuseppe Conte il 23 dicembre 2018), si colloca in una fase in cui la battaglia intorno alla capitale ha toccato un nuovo picco, dopo mesi di conflitto a bassa intensità. Con le milizie del generale della Cirenaica in crescente pressione per entrare in città. Di Maio ha espresso agli interlocutori libici le preoccupazioni europee per l’escalation di violenza, che si sono tradotte giorni fa in una dichiarazione comune Berlino-Parigi-Roma in cui si fa appello a tutte le parti per una cessazione delle ostilità e la ripresa del negoziato sotto l’egida Onu. A Tripoli il titolare della Farnesina ha incontrato tutto lo stato maggiore del governo di unità nazionale, incluso il premier Sarraj. Ed ha ribadito che l’Italia “appoggia gli sforzi dell’inviato delle Nazioni Unite Ghassam Salamé per il ritorno ad un processo politico”. In questa chiave, Di Maio ha chiarito quanto sia fondamentale che la conferenza di Berlino lasci il segno. Ossia, faccia comprendere a tutti gli attori regionali coinvolti nella partita libica che il loro sostegno militare alle parti in conflitto non porterà nulla di buono: un messaggio rivolto soprattutto alla Russia e alla Turchia, che stanno fornendo supporto sul terreno ad Haftar e Sarraj, come a voler spartirsi la Libia come hanno fatto in Siria. Con Di Maio, Sarraj ha riconosciuto
il tradizionale impegno italiano a sostegno del suo governo, puntualizzando tuttavia che “l’unità del territorio libico e il rafforzamento della sovranità nazionale” non possono essere messe in discussione, né da Haftar né da nessun altro. Proprio Haftar, finora, non ha mostrato nessun segno di voler deporre le armi, denunciando che Tripoli è ostaggio di “milizie e terroristi”. Di Maio lo ha raggiunto a Bengasi, nel suo quartier generale, per tentare una mediazione. Potendo contare sul fatto che l’Italia, pur appoggiando il governo basato a Tripoli, non ha mai interrotto i contatti con il generale, riconoscendone il ruolo imprescindibile per risolvere la crisi. Tanto che l’uomo forte della Cirenaica è stato invitato “nelle prossime settimane” a Roma per continuare il negoziato. Analogo tentativo è stato fatto a Tobruk con Aghila Saleh, presidente di un Parlamento libico che fa da contropotere al go- verno di Tripoli e braccio politico di Haftar. La speranza della diplomazia italiana, e di quella europea, è quindi di riannodare i fili di un dialogo che sembrava ben avviato dopo i summit di Parigi e Palermo del 2018 e che si è invece bruscamente interrotto lo scorso aprile, quando Haftar ha lanciato la sua campagna sulla capitale. Dialogo, sulla carta, incoraggiato anche da Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, che in un colloquio telefonico hanno espresso il sostegno agli sforzi dell’Onu e alla conferenza di Berlino. Sul terreno, però, le notizie raccontano una realtà ben diversa. Il portavoce di Haftar proprio oggi ha denunciato la presenza di miliziani turchi in Libia per fare scudo a Tripoli, mentre da Mosca continuano ad affluire aiuti e armi a sostegno del generale. E mentre le milizie contrapposte si contendono chilometro su chilometro, dopo Misurata, che è il principale bastione di Tripoli, altre otto città dell’ovest hanno annunciato una “mobilitazione generale di tutte le loro forze per lanciare una grande operazione” contro Haftar. Pronta, e minacciosa, la replica del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, un altro peso massimo della regione al fianco del generale.
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