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Ennesimo rinvio per Zaki



di Rodolfo Calo'

MANSURA. Una concessione così velenosamente ampia da trasformarsi in punizione, ovvero in altri due mesi abbondanti di carcere: la tanto attesa seconda udienza del processo a carico di Patrick Zaki ha prodotto un nuovo aggiornamento, stavolta al 7 dicembre, per consentire agli avvocati di studiare gli atti in un lasso di tempo che appare però abnormemente lungo. A deciderlo è stato il giudice monocratico della seconda Corte della Sicurezza dello Stato per i reati minori di Mansura, la città natale di Patrick sul delta del Nilo, nel processo che vede lo studente egiziano dell'Università di Bologna sotto accusa per "diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese" attraverso articoli giornalistici. L'udienza, escludendo l'ora di camera di consiglio, è durata appena due minuti d'orologio, ancor meno della prima che si era protratta per sei minuti. La sua legale principale, Hoda Nasrallah, ha chiesto di avere accesso agli atti non solo leggendoli in Procura ma anche potendoli consultare in copia assieme ai cinque colleghi che difendono Patrick. Il giudice ha acconsentito ma, come nella prima udienza, ha mandato in aula un poliziotto vestito di bianco per annunciare laconicamente una data per il rinvio: stavolta il 7 dicembre, quando lo studente e attivista sarà in carcere esattamente da 22 mesi. "Un rinvio abnormemente lungo che sa di punizione", ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, argomentano che il giudice avrebbe potuto disporre un rinvio più breve, di "una o due settimane" che sarebbero state sufficienti agli avvocati per studiare le carte. Su Facebook, gli attivisti del gruppo 'Patrick Libero’ hanno sostenuto come sia ormai "chiaro che lo scopo delle autorità egiziane è che Patrick passi quanto più tempo possibile in prigione senza alcuna base legale". Del resto finora si è appreso che in questo processo si tratta solo di tre articoli, uno dei quali sulle persecuzioni terroristiche e le discriminazioni sociali ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto: una presunta diffusione di fake news che gli fa rischiare una condanna a un massimo cinque anni di reclusione. Restano però ancora in piedi, eventualmente da affrontare davanti a un altro tribunale, le accuse di propaganda sovversiva su internet basate sui dieci fantomatici post di un controverso account Facebook che hanno tenuto Patrick per 19 mesi in custodia cautelare: fra l'altro per "istigazione al rovesciamento del regime e al crimine terroristico" che in Egitto giustifica 25 anni di carcere e perfino l'ergastolo. Senza polemizzare sulla durata, Hoda ha spiegato che il rinvio "è stato deciso affinché la difesa possa ottenere copia ufficiale degli atti" e rappresentare "Patrick nel migliore dei modi con una forte memoria". Intanto però il padre George e la sorella Marise, assieme ad amici e attivisti, hanno dovuto urlare "7 dicembre, 7 dicembre" verso le piccole grate di un furgone carcerario azzurro dentro cui Patrick è stato trasportato verso la prigione di Tora al Cairo al termine dell'udienza: era l'unico modo per fargli sapere subito, e non solo fra chissà quanti giorni, quale sia il suo immediato, allucinante futuro. Vestito tutto di bianco, il colore dei detenuti in custodia cautelare in Egitto, e ancora nella gabbia degli imputati dove è entrato in manette, Patrick è apparso ancora lucido e reattivo, sebbene poi davanti al giudice non abbia potuto prendere di nuovo la parola come nella prima udienza. Il mal di schiena continua però a tormentarlo, ha riferito una fonte a lui vicina senza poter precisare se il trentenne attivista per i diritti umani continui, come probabile, a dover dormire per terra su due coperte come materasso.

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