I FIGLI DEL FIUME GIALLO
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
di Simona Balduzzi

titolo originale : Jianghù ernu anno: 2018 Cina, Francia, Giappone genere: gangster, sentimentale, drammatico durata : 136 min regia: Jia ZhangKe sceneggiatura : Jia Zhang-ke fotografia: Eric Gautier musiche : Lim Giong montaggio : Matthieu Laclau Cast : Liao Fan , Yi Nan Diao , Zhao Tao
Jia Zhangke è un regista in grado di regalarci un’ opera narrativa tanto completa da essere difficilmente inquadrabile : intriso di tutto ciò che va a costituire il suo personalissimo sguardo di cineasta, ‘I figli del fiume giallo’ (2018), tocca tanto il piano sentimentale quanto quello culturale, per poi inerpicarsi a sua volta, nel ritratto dei cambiamenti epocali vissuti dalla Cina a inizio secolo . «Ho sempre ritenuto che i cambiamenti nella società cinese avvengano in maniera graduale, non che siano qualcosa di improvviso» (Ja Zhangke) Con estrema abilità narrativa , questo film espone i diciassette anni di trasformazioni della Cina contemporanea dal 2001 al 2018 ; tutto, per mezzo dello sguardo incantato di una donna perdutamente innamorata ;o di quello disincantato di un fosco jianghu, che cerca di sopravvivere tra rivalità e fratellanze gangster; o ancora, quello di un regista profondamente legato al linguaggio dei sensi e dei desideri, capace di toccare l’anima dello spettatore con garbo e intensità al contempo.. A spiccare sullo sfondo a contrasto, è la forza che mostra il personaggio di Qiao, ragazza cresciuta tra gli aspri sapori di una verità immutabile ; qui i primissimi piani e la predilezione verso i dettagli, scartano volutamente i dialoghi superflui, creando un’atmosfera che respira insieme allo sguardo . Anche i simbolismi, tra numeri e colori, ( il 2, il 2021, il giallo e il blu) , sembrano comunicare una trasposizione verso una significazione futurista : non solo emblema di un destino, ma simulacro di un’essenza in continuo mutamento. Struggente, si rivela anche il racconto della tormentata trasformazione che la Cina ha subito ad inizio millennio , contestualizzato tra le miniere di carbone dello Shanxi, i confini occidentali dello Xinjiang ed il paesaggio aspro delle Tre Gole.
“Hai una pistola, quindi di che cosa hai paura?”( Qiao) “Gli uomini armati muoiono sempre presto” ( Bin)
Tradizioni e desideri dell’essere umano, si fondono necessariamente col destino dettato dalla società , che impone e pretende : le dinamiche individuali, le alleanze e i tradimenti, finiscono così per fondersi con quelle traslazioni epocali che cambiano lo sguardo, mutando le aspettative. La confraternita di Bin ( spaccato dello jianghu)- che per tutta la prima parte rimanda all’action movie hongkonghese , si colora a contrasto, accanto alle canzoni sfumate diSally Yeh, ancora in opposizione a YMCA : è in questo ‘tocco di completezza’- volutamente lontano dallo sguardo nostalgico in sé - che il regista stratifica l’ identità individuale , quella sociale, passata e futura; tutte fuse all’interno di un’unico disegno narrativo. La citazione ad un mondo ‘altro’,( alieno a tutto ciò che sembra essere importante per noi) , rappresenta un’ulteriore provocazione da parte di Ja Zhangke, che sottolinea come la fugacità di ciò che avviene ‘qui e ora’, possa renderci ciechi nell ‘altrove’. Un richiamo all’influenza che su di lui ha avuto il cinema europeo di Godard e Bresson? Forse; così come evidente da certe scene , è il richiamo ad 'Unknown Pleasures’ ( 2002) e a ‘Still Life’ (2006) ,Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia.

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