I manager vogliono dire la loro
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Pnrr/I dirigenti d’industria chiedono di collaborare alla spesa delle risorse

di Marco Assab
ROMA. Un Patto della dirigenza per mettere a terra le risorse del Pnrr, costruendo una crescita economica robusta, duratura, basata su occupazione, inclusività, welfare, transizione ecologica e trasformazione digitale. A tracciare il percorso è il presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, che parlando all’assemblea annuale dell’associazione lancia il suo appello al governo: “I dirigenti d’impresa siano chiamati a collaborare ai tavoli decisionali per l’attuazione del Pnrr”, per “concretizzare il piano più ambizioso di riforme e investimenti che si ricordi dal dopoguerra”. Un’occasione unica per l’Italia, ma anche per altri Paesi del continente, che non stanno certo a guardare. La Commissione Ue infatti ha ricevuto ieri la prima richiesta di pagamento nell’ambito del Recovery fund. A farsi avanti è stata la Spagna, che ha chiesto 10 miliardi di euro, al netto del prefinanziamento, per sostenere efficienza energetica, mobilità pulita, progetti sulle competenze e altro. Bruxelles ha ora due mesi per valutare la richiesta. Ma in Italia i timori restano legati alla capacità di spendere le risorse, con la burocrazia principale ostacolo. Ne è convinto il leader della Lega Matteo Salvini, che dal palco dell’assemblea di Federmanager torna a battere sulla riforma del codice degli appalti, chiedendo che ci siano “controlli a valle e non a monte”. “Serve il modello Genova: se la procedura è rapida è più difficile avere corruzione”, ha detto il leader del Carroccio. C’è poi il capitolo che riguarda le nuove competenze, indispensabili per accompagnare il processo di digitalizzazione: “Chiediamo al governo - è la richiesta del presidente di Federmanager Cuzzilla - di confermare il voucher per gli innovation manager e di prevedere strumenti simili per l’inserimento delle altre figure, a partire dai manager per la sostenibilità, oltre a sgravi fiscali che incentiveranno le imprese a investire nel nuovo che serve”. A far discutere, poi, è anche la manovra, che martedì inizierà ufficialmente il proprio cammino in Senato. “Occorre reinserire il Patent Box così com’era strutturato, stimolava gli investimenti in ricerca e nella realizzazione di brevetti, funzionava e si è deciso di smontarlo”, ha detto a margine dell’assemblea dei manager il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. E sul reddito di cittadinanza avverte: “Com’è strutturato oggi non intercetta gli incapienti del Nord ed è diventato un disincentivo a cercare lavoro nel Mezzogiorno”. Intanto la Commissione Ue ha pubblicato l’edizione 2021 dell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi), in cui l’Italia risale dal 25 al 20esimo posto, migliora sia la copertura che la diffusione delle reti di connettività, ma siamo ancora “significativamente in ritardo in termini di capitale umano”. “Tutti i paesi dell’Ue hanno compiuto progressi per diventare più digitali e più competitivi, ma si può fare di più” commenta la vicepresidente esecutiva Margrethe Vestager. “Si tratta di una sfida impegnativa, sostenuta dal PNRR - sottolinea la Sottosegretaria al Mise e vicepresidente del Pd, Anna Ascani - Dobbiamo fare di più per quanto riguarda la connettività (23° posto) come ad esempio negli indicatori relativi alla copertura 5G (8% rispetto al 14% della media Ue) e per la formazione ICT fornita dalle imprese. In questa direzione contiamo di raggiungere risultati concreti grazie al Piano Transizione 4.0”. “Dall’indice Desi arriva la conferma che l’Italia è sulla strada giusta”, dice l’amministratore unico di PagoPA, Giuseppe Virgone. “Registriamo positivamente che la App IO, oggi nelle mani di quasi 23 milioni di persone, risulti una best practice a livello europeo; questo, a riprova del fatto che un accesso semplificato e una migliore fruizione dei servizi possa contribuire a colmare i divari che l’indice ancora denota”. Solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede perlomeno competenze digitali di base (56 % nell’Ue) e solo il 22 % dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (31 % nell’Ue). La percentuale di specialisti Tic in Italia è pari al 3,6 % dell’occupazione totale, ancora al di sotto della media Ue (4,3 %). Solo l’1,3 % dei laureati italiani sceglie discipline Tic, un dato ben al di sotto della media Ue, mentre la questione di genere è un male comune alla UE. Tutte carenze che rischiano di tradursi nell’esclusione digitale di una parte significativa della popolazione e di limitare la capacità di innovazione delle imprese.
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