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I tassi Bce: le carte restano coperte

Inflazione/Lagarde e Gentiloni non indicano se un rialzo sia imminente


di Domenico Conti e Mattia Bernardo Bagnoli



ROMA. La Bce “prenderà la decisione giusta al momento giusto” ma “qualsiasi aggiustamento alla nostra politica monetaria sarà graduale”. La presidente della Bce Christine Lagarde non scopre le carte sul rialzo dei tassi d’interesse che da settimane agita i mercati e ieri ha fatto balzare lo spread in zona 170, con il Btp italiano ormai prossimo alla soglia del 2%. Era stata proprio Lagarde, agli inizi del mese, a imprimere una svolta nelle aspettative degli investitori, rifiutandosi di confermare - dopo il balzo a sorpresa dell’inflazione nell’area euro al 5,1% a gennaio - che la stretta non arriverà nel 2022, come invece ha fatto la Bank of England e si appresta a fare la Federal Reserve. Di lì in poi, da Lagarde erano arrivati commenti tesi a rasserenare gli animi: ci muoveremo gradualmente, aveva detto una settimana fa, se agiamo precipitosamente “ne risentirà la ripresa”. Parole che non hanno raffreddato il clima. Eric Nielsen, advisor economico di Unicredit, denuncia “l’errore di policy” nato probabilmente per rinsaldare la tenuta di un minimo di unità nel Consiglio direttivo Bce. E rimprovera a Lagarde di non aver neanche preso le distanze da quanto affermato da Klaas KNot, governatore ‘falco’ olandese, che aveva preannunciato una settimana fa un aumento dei tassi di un quarto di punto. Ieri l’occasione per parlare era più istituzionale che ‘operativa’ dal punto di vista del dialogo con i mercati: l’intervento della presidente della Bce a una sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo prima per celebrare il ventennale delle monete e banconote in euro, e poi per rispondere alle osservazioni sul rapporto annuale 2020 della Bce. E forse il messaggio più importante, di segno ‘politico’, è arrivato dal commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni (nella foto): “Non possiamo chiedere che tutto venga sistemato dalla politica monetaria” è il segnale che Francoforte si appresta a passare il testimone dello stimolo economico al Next Generaton Eu di Bruxelles. Se avesse voluto, un’indicazione più decisa l’avrebbe potuta dare. Invece ha tenuto le carte più coperte che mai. Di fatto prendendo tempo fino al Consiglio direttivo della Bce del 10 marzo, quando le nuove stime economiche triennali su crescita e inflazione diranno se i prezzi resteranno sotto il 2% nel 2023 e 2024, rendendo più difficile un rialzo dei tassi entro l’anno, oppure se la fiammata energetica si sta facendo così diffusa e profonda da trascinare al rialzo l’inflazione anche nel medio termine. Salutato l’euro come “pietra miliare” nell’integrazione europea, Lagarde ha nuovamente evocato “rischi orientati al rialzo” per lo scenario inflazionistico, che ad oggi prevede un 1,8% sia per il 2021 che per il 2022. Ha detto che “i rialzi dei prezzi sono ora più diffusi” e non più limitati all’energia, e ha toccato il nodo dei salari, la cui bassa crescita è forse il principale motivo di prudenza della Bce: “Se le pressioni inflazionistiche si manifestano in rialzi salariali più alti del previsto, o la ripresa è più forte del previsto, l’inflazione potrebbe rivelarsi più alta”. Nebbia sulle prossime decisioni, anche se chiaramente ormai un rialzo dei tassi e una fine anticipata del Qe sono sul tavolo. Nielsen teme una stretta “dettata più dall’obiettivo di porre fine al Qe e ai tassi negativi” che dalle previsioni economiche. Morgan Stanley vede “entro settembre” la fine del Qe e un aumento dei tasso sui depositi a zero entro il primo trimestre 2023. Mentre da Algebris notano la fiammata degli spread di Grecia, Italia e (in misura minore) Spagna e Portogallo. Segno di “una correlazione tra i livelli di debito e i movimenti dei rendimenti” che riporta le lancette al 2014, quando Draghi non aveva ancora lanciato il Qe.

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