Il boss continua gli affari
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
NDRANGHETA/ESPIATA LA PENA, ARRESTATO PER TRAFFICO DI RIFIUTI FERROSI

di Francesca Brunati e Igor Greganti
MILANO. L’indagine della Dda di Milano su un traffico illecito di rifiuti, principalmente ferro e metalli anche radioattivi, ha fatto finire di nuovo in cella Cosimo Vallelonga, 72 anni, uno degli storici boss della ‘ndrangheta in Lombardia, pluricondannato, il quale appena espiata la pena ha ripreso a fare “affari”, ricevendo pure gli affiliati all’interno del suo negozio “Arredomania”, un mobilificio di La Valletta Brianza, nel Lecchese. Ieri, infatti, i militari del Gico della Guardia di Finanza milanese con il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Gdf e la Squadra Mobile di Lecco hanno eseguito 18 arresti, di cui dieci in carcere e otto ai domiciliari, su richiesta dei pm della Dda Paola Biondolillo e Adriano Scudieri e dell’aggiunto Alessandra Dolci. A firmare le ordinanze è stato il gip Alessandra Clemente che ha anche disposto il sequestro preventivo per equivalente di oltre 120 mila euro e di quote di società utilizzate per operazioni illecite. Nel blitz, che ha riguardato Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna, durante le perquisizioni sono stati rinvenuti beni di valore e armi detenute illegalmente. Al centro dell’indagine c’è il ritorno di Vallelonga, il quale, sebbene sia già stato condannato per associazione mafiosa in seguito alle inchieste di metà anni ’90 “La notte dei fiori di San Vito” e del 2010 “Infinito”, ha ridato vita alla “locale” nel Lecchese. Usava il suo ufficio per gli incontri non solo con i suoi sodali, tra cui Vincenzo Marchio, figlio di Pierino, altro affiliato e storicamente legato alla famiglia Coco Trovato, ma anche con gli imprenditori locali per organizzare il reinvestimento di proventi di attività illecite in campo economico. Imprenditori ai quali, almeno in otto casi, ha prestato denaro per una somma complessiva di 750 mila euro a tasso usurario fino al 40 per cento, con tanto di minacce di morte (“vi faccio come facciamo in Calabria”) e pistole puntate alla tempia, per il recupero crediti. Inoltre il boss, è emerso dalle intercettazioni, aveva “intrecciato” rapporti con esponenti dell’imprenditoria e professionisti, parte della società civile, il cosiddetto “capitale sociale” della ‘ndrangheta. Tra questi, emerge dagli atti, spunta il nome di Elena Ghezzi, nota imprenditrice della zona, non indagata, e presidente di Confartigianato Donne Lecco dal 2012, riconfermata nel 2017 e a luglio del 2018 eletta presidente di Donne impresa Lombardia, la quale avrebbe svolto un ruolo di “intermediaria” per alcuni affari che non si sono però mai concretizzati e avrebbe tentato di creargli occasioni “per conoscere ‘clienti importanti’”. L’imponente traffico di rifiuti ferrosi, dal 2015 al 2018, come è stato ricostruito, sarebbe stato portato avanti attraverso imprese che operano nel settore e avrebbe portato ad una movimentazione illegale di oltre 10 mila tonnellate di materiale attraverso società cartiere, fatture false per circa 7 milioni di euro e documenti di trasporto fasulli. E avrebbe fruttato attorno ai 30 milioni in tre anni. E il boss, come viene a galla da alcune conversazioni, puntava anche ad un grosso affare per “settanta milioni” da far “girare”: “non so se in dollari o in euro, mi servirebbe fare delle fatture”, diceva un suo sodale. Un’intercettazione, questa, da cui emergono, scrive il gip, “la sua caratura criminale, le sue conoscenze e in definitiva” il suo “capitale mafioso”. Infine, c’è da rilevare che nel maggio 2018, nel corso dell’indagine, è stato pure sequestrato un “pericoloso carico di rifiuti radioattivi” di 16 tonnellate proveniente dalla provincia di Bergamo e che i proventi illeciti sarebbero stati reimpiegati anche in attività di ristorazione e del commercio di auto.
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