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Il Labour di Starmer vira al centro

LONDRA/IL LEADER BRITANNICO RIESUMA BLAIR. FISCHI AL CONGRESSO DALLA SINISTRA DI CORBYN



di Alessandro Logroscino

LONDRA. Il futuro del Labour è nel ritorno al suo passato prossimo, quello dell'ultimo trionfo elettorale datato ormai 15 anni fa, sperando che la scommessa di un neoblairismo riveduto e corretto possa rivelarsi vincente anche in futuro, in un Regno Unito frattanto profondamente cambiato. Keir Starmer mette da parte ogni esitazione e gli appelli d'inizio mandato all'unità fra "compagni" e imprime al maggiore partito d'opposizione d'Oltremanica una decisa sterzata al centro, a costo di approfondire le divisioni, la rottura traumatica con la sinistra interna e di sfidare le ripetute contestazioni a scena aperta d'una parte del parterre congressuale nel pieno del discorso di chiusura, ieri a Brighton, della conferenza annuale laburista: primo grande appuntamento in presenza di fronte a delegati in carne e ossa dopo le restrizioni ovattate imposte dall'emergenza Covid nel 2020. Un discorso nel quale ha attaccato duramente il governo Tory di Boris Johnson sulla gestione della pandemia come sulla crisi di questi giorni sulla catena dei rifornimenti di benzina e di altri prodotti. Ma che in realtà è servito soprattutto a concentrare la polemica in casa, in direzione di un taglio netto e definitivo rispetto all'ideologia radicale del predecessore Jeremy Corbyn. Lo scontro ha assunto alla fine i toni della bolgia assembleare, fra grida di disapprovazione contrastate in sala dalla maggioranza della platea con applausi e qualche standing ovation telefonata. Criticato da sinistra per aver rispolverato una piattaforma cauta e gradualista fino al rifiuto di recepire, anche solo come bandiera simbolica in materia di giustizia sociale, la mozione approvata dallo stesso congresso a favore della proposta d'incremento del salario minimo britannico da 9 a 15 sterline all'ora (e non da 9 a 10), sir Keir ha rivendicato a spada tratta le sue scelte. Scelte che durante l'assise di Brighton hanno condotto al clamoroso annuncio di dimissioni pubbliche dal palco del suo ministro ombra del Lavoro, Andy McDonald, uno degli ultimi esponenti di sinistra rimasti finora con lui, e a uno strappo pure di settori dell'importantissima componente sindacale. Mentre nel contempo ha ritirato fuori dal cassetto richiami espliciti all'eredità controversa e ai "successi" accreditati a Tony Blair su questioni come l'istruzione: nel nome di uno slogan, "educazione, educazione, educazione", nel frattempo tradito dalle attività di business dello stesso Euan Blair, figlio multimilionario dell'ex premier. L'obiettivo del partito che Starmer vuole creare - o ricreare - è del resto quello di tornare ad essere forza "di governo", non "di protesta", attraverso un programma dosato con attenzione per provare ad agganciare spezzoni di elettorato più vasto nel Paese, più che a rincuorare il popolo degli iscritti (che rispetto all'era Corbyn, di entusiasmo militante ma di sconfitte alle urne, ha già perso 100.000 tessere su 600.000). "Le grida passano, i cambiamenti concreti restano", ha replicato il leader alle voci critiche ammesso di rovesciare sondaggi che per ora restano assai poco incoraggianti - dovrebbero consentire al Labour di provare finalmente a vincere le prossime elezioni contro "uno showman come Boris Johnson". Sul voto del 2019 Keir Starmer non ha d'altronde esitato a riconoscere agli elettori potenziali - moderati o magari di centro sinistra - il diritto di aver giudicato le promesse di Johnson "più credibili" di quelle di Corbyn in economia o in politica estera. Elettori fra i quali c'è chi "ci ha considerato allora non patriottici e irresponsabili", ha rincarato incurante dei fischi, non senza promettere che con lui "il Labour non andrà mai più alle urne con un manifesto che non contenga un serio programma di governo".

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