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Italia, un regno di timbri e firme

Istat/La pubblica amministrazione: personale non formato e digitale carente



ROMA. Nella pubblica amministrazione regnano i timbri e le firme, le istituzioni preferiscono lo sportello fisico e per accedere ai servizi si usa poco lo Spid e la carta di identità elettronica. Il personale non è adeguatamente formato per i servizi digitali e in molti casi resiste al cambiamento. Ma anche le infrastrutture non aiutano: i collegamenti internet sono lenti, social e app vengono usati poco. Insomma i servizi attraverso il web sembrano ancora una chimera. È un quadro desolante quello che ci descrive l’Istat sul livello di digitalizzazione dei processi e dei servizi offerti dalle amministrazioni comunali. Una foto che non tiene conto delle novità arrivate negli ultimi mesi - ad esempio l’obbligo di utilizzo dello Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale) - ma che contiene gli ultimi dati dai quali dovrà partire il processo di semplificazione e transizione digitale con cui il governo Draghi vuole trasformare il Paese. Quasi il 40% dei Comuni “utilizza ancora procedure analogiche quali timbri, firme autografe, ecc. per almeno il 50% della produzione documentale”. Appare chiaro che le novità sarebbero un grande salto, ma anche che la sfida è impegnativa. La mancanza di risorse finanziarie rappresenta l’ostacolo più importante al processo di digitalizzazione per il 70,4% delle istituzioni pubbliche. Un tema, questo, al quale potrebbero sopperire le risorse in arrivo dal Recovery Plan. Ma non sono solo i soldi che finora sono mancati. All’aspetto economico si aggiungono - nell’analisi dell’Istat - fattori legati all’implementazione dell’ICT (tecnologia dell’informazione e della comunicazione), come la mancanza di adeguata formazione (67,6%) o di uno staff qualificato (66,5%). Nel 2018 solo il 7,3% del personale ha partecipato ad attività formative in materia e, per la gestione delle funzioni ICT, il 94,1% dei Comuni utilizza fornitori esterni privati. Il check up dell’Istat registra che il 60,5% delle amministrazioni locali chiede un referente per la trasformazione digitale mentre il 69,8% di quelle centrali lamenta la “rigidità al cambiamento” nell’organizzazione degli uffici. “Nonostante gli avanzamenti registrati - spiega l’Istat - la diffusione dei servizi comunali gestiti interamente online è ancora limitata, soprattutto nei Comuni più piccoli”. Se si guarda agli ‘strumenti’ tecnici si scopre che solo l’85,9% dei dipendenti ha accesso a Internet. Il 62% dei comuni dispone di strumenti tecnologici di base, ma non moderni, pochi portatili e dispositivi mobili rispetto al personale effettivo (10,4%) e internet lento (il 40,3% ha accesso a Internet pari almeno a 30 Mbit/s, 27,8% ha la fibra ottica). Solo il 60% dei comuni utilizza una rete Intranet. Carente, ma in crescita decisa, è poi l’offerta online dei servizi dei Comuni, l’Istat evidenzia “un generale miglioramento della disponibilità di strumenti”: passa dal 33,9% del 2015 al 48,3% la percentuale di Comuni che offrono la possibilità di avviare e concludere online l’intero iter di almeno uno dei 24 servizi osservati dall’indagine. Una fotografia scattata nel 2018 indica che si poteva accedere ai servizi online con l’identità digitale (Spid) nel 20,5% dei Comuni, con la carta nazionale dei servizi (CNS) nel 22% e per appena il 5,5% con la carta di identità elettronica. Ma ora questi strumenti, anche se si è in una fase di passaggio, sono diventati obbligatori. Altri dati mostrano che solo il 36,3% degli utenti di Internet si è relazionato via web con la Pubblica amministrazione, “rispetto ad una media europea del 64%”. Tra i canali disponibili per acqui- sire informazioni, “lo sportello fisico resta quello più utilizzato dalle unità locali di tutte le tipologie istituzionali” (83,9%), il sito web occupa il secondo posto (71,7%). Gli adempimenti burocratici “vengono percepiti dalle imprese come un ostacolo molto rilevante alla loro competitività”.

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