Johnson salva la zarina Patel
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 4 min
GRAN BRETAGNA/LA MINISTRA DELL’INTERNO ACCUSATA DI BULLISMO DAI FUNZIONARI

di Alessandro Logroscino
LONDRA. Nuova bufera sul governo britannico di Boris Johnson, che stavolta - a differenza di quanto successo pochi giorni fa con la caduta del Rasputin di Downing Street, Dominic Cummings - ha deciso di salvare, in barba ad accuse e polemiche, un’altra figura controversa del suo litigioso team: la ministra dell’Interno, Priti Patel, rampante falco brexiteer della compagine Tory e zarina della linea dura sull’immigrazione, denunciata da funzionari e dipendenti governativi per una storia di atteggiamenti autoritari ai limiti (e probabilmente oltre i limiti) della prepotenza. L’assoluzione del premier è arrivata in contrasto stridente con le conclusioni di un rapporto indipendente interno, e ha indotto alle dimissioni immediate dal Civil Service sir Alex Allan, consigliere e arbitro degli standard di comportamento ministeriali. Un burocrate stimato, ma chissà se reputato leale. E comunque evidentemente sacrificabile. Patel, 48 anni, era stata riconosciuta responsabile nel rapporto - firmato dallo stesso sir Alex e tenuto sotto la sabbia per mesi da BoJo prima di venir fatto filtrare ieri sui media dalla solita manina anonima interna allo staff - di non essere stata talora “all’altezza del codice di condotta” previsto per i ministri: mancando di rispetto, quand’anche non in modo intenzionale, verso i sottoposti. Ma in una nota diffusa da Downing Street, Johnson ha fatto sapere di non considerare il modo di fare della ministra una violazione dei codici etici, di continuare ad avere “piena fiducia” in lei e di ritenere ora “il caso chiuso”. Seppure non senza precisare più tardi per bocca di Allegra Stratton - la nuova portavoce proveniente dal giornalismo televisivo fortemente voluta al fianco del primo ministro dalla fazione di Downing Street che farebbe capo alla first lady Carrie Symonds - di aver esaminato “con estrema serietà” la vicenda e di “aborrire ogni forma di bullismo”. Mentre Patel (che nei mesi scorsi aveva sempre respinto le contestazioni, sostenendo di aver in sostanza difeso le sue prerogative di ministro-donna in un ambiente tradizionalmente maschile e bian-LONDRA. Nuova bufera sul governo britannico di Boris Johnson, che stavolta - a differenza di quanto successo pochi giorni fa con la caduta del Rasputin di Downing Street, Dominic Cummings - ha deciso di salvare, in barba ad accuse e polemiche, un’altra figura controversa del suo litigioso team: la ministra dell’Interno, Priti Patel, rampante falco brexiteer della compagine Tory e zarina della linea dura sull’immigrazione, denunciata da funzionari e dipendenti governativi per una storia di atteggiamenti autoritari ai limiti (e probabilmente oltre i limiti) della prepotenza. L’assoluzione del premier è arrivata in contrasto stridente con le conclusioni di un rapporto indipendente interno, e ha indotto alle dimissioni immediate dal Civil Service sir Alex Allan, consigliere e arbitro degli standard di comportamento ministeriali. Un burocrate stimato, ma chissà se reputato leale. E comunque evidentemente sacrificabile. Patel, 48 anni, era stata riconosciuta responsabile nel rapporto - firmato dallo stesso sir Alex e tenuto sotto la sabbia per mesi da BoJo prima di venir fatto filtrare ieri sui media dalla solita manina anonima interna allo staff - di non essere stata talora “all’altezza del codice di condotta” previsto per i ministri: mancando di rispetto, quand’anche non in modo intenzionale, verso i sottoposti. Ma in una nota diffusa da Downing Street, Johnson ha fatto sapere di non considerare il modo di fare della ministra una violazione dei codici etici, di continuare ad avere “piena fiducia” in lei e di ritenere ora “il caso chiuso”. Seppur non senza precisare più tardi per bocca di Allegra Stratton - la nuova portavoce proveniente dal giornalismo televisivo fortemente voluta al fianco del primo ministro dalla fazione di Downing Street che farebbe capo alla first lady Carrie Symonds - di aver esaminato “con estrema serietà” la vicenda e di “aborrire ogni forma di bullismo”. Mentre Patel (che nei mesi scorsi aveva sempre respinto le contestazioni, sostenendo di aver in sostanza difeso le sue prerogative di ministro-donna in un ambiente tradizionalmente maschile e bianco) si è limitata a un accenno di scuse con queste parole: “Mi dispiace che il mio comportamento abbia in passato offeso qualcuno”. Allan ha in effetti riconosciuto che spettava al primo ministro esprimere “un giudizio finale”; e tuttavia - rivendicando le proprie valutazioni - ha aggiunto di ritenere a questo punto “giusto” farsi da parte. Nel suo rapporto si analizzavano episodi in cui Priti Patel si sarebbe sentita “frustrata, in molti casi a ragione, per la mancanza di sostegno” alle sue indicazioni da parte di settori dell’apparato. Ma si evidenziavano altresì le reazioni “forti” attribuite alla ministra, con “urla e imprecazioni” che, quand’anche “forse non intenzionalmente offensive”, avevano finito per essere avvertite come atti di “bullismo”. A far esplodere l’indagine interna era stato un mandarino ministeriale come sir Philip Rutnam, dimessosi fra le polemiche da direttore generale del dicastero dell’Interno a febbraio con tanto di vertenza successiva contro il governo. Vertenza che resta aperta, mentre monta la protesta delle opposizioni in Parlamento - oltre che dei sindacati del Civil Service - contro “l’impunità” garantita da Johnson alla titolare dell’Home Office. “Questa è mancanza di leadership, se fossi stato premier io, la ministra dell’Interno sarebbe stata già rimossa”, ha tuonato il leader del Labour, Keir Starmer .Influente quanto divisiva, Patel - che ha radici familiari indiane e induiste e ha ricoperto vari incarichi di governo, i primi sotto David Cameron nel 2014 - non è d’altronde nuova agli inciampi. Quando era premier Theresa May fu silurata dalla guida del Commercio Estero per aver intrecciato una sua rete di contatti diplomatici paralleli in Israele con ambienti dell’ala destra del Likud di Benyamin Netanyahu e col movimento dei coloni: alle spalle sia del Foreign Office sia di Downing Street.
Comments