top of page

Korbyn fuori dal Labour

LONDRA/SCONTRO SULL’ANTISEMITISMO CON IL NUOVO LEADER STARMER



di Alessandro Logroscino

LONDRA. Da capo supremo del partito a reprobo, escluso dai banchi della Camera dei Comuni su cui sedeva da 37 anni. Investito dall’ennesimo capitolo dello scontro sul dossier antisemitismo, e sulla risposta fallimentare imputata su questo terreno alla sua leadership (tramontata dopo le rovinose elezioni del dicembre scorso), Jeremy Corbyn non sarà riammesso nel gruppo parlamentare del Labour britannico. E resterà emarginato, almeno per ora, nel limbo degli ‘indipendenti’. Lo ha deciso il suo successore Keir Starmer, con un provvedimento d’autorità che viene incontro alle proteste della comunità ebraica del Regno Unito, umiliando tuttavia la sinistra interna - tuttora fedele al ‘compagno Jezza’ - e minacciando di far riesplodere le divisioni in seno alla maggior forza di opposizione al governo Tory di Boris Johnson. Il diktat di sir Keir, già membro del gabinetto ombra di Corbyn per quattro anni, ma deciso da neo leader a dare una svolta più moderata alla baracca e soprattutto a “recuperare la fiducia” del mondo ebraico, è scattato a poche ore di distanza dal verdetto con cui gli organi disciplinari del comitato esecutivo nazionale laburista (Nec) avevano decretato il via libera a riaccogliere come iscritto il 71enne Jeremy: sospeso clamorosamente nei giorni scorsi, dopo 54 anni di militanza, per aver criticato alcuni aspetti di un rapporto della Commissione sui diritti umani nel quale si additava la cattiva gestione del partito, almeno fino al 2018, di denunce di discriminazione e abusi avanzate da militanti ebrei. Agli occhi di Starmer non è bastato evidentemente il mezzo passo indietro fatto in extremis da Corbyn con un messaggio pubblico in cui aveva “chiarito” di non considerare “esagerato” alcun sospetto di antisemitismo, pur senza scusarsi di aver inizialmente parlato di “enfatizzazioni” mediatiche o settarie ai suoi danni in relazione a questa polemica. Egli “ha minato lo sforzo per ripristinare la credibilità del Labour”, ha tagliato corto il nuovo leader. “Da quando sono stato eletto, ho indicato come una missione quella d’estirpare l’antisemitismo e so che sarò giudicato dalle mie azioni, non dalla mie parole”, ha proseguito, spiegando la scelta d’ignorare il verdetto disciplinare assolutorio del Nec con la convinzione che questo organismo non abbia “la fiducia della comunità ebraica” britannica. “Io sono il leader del partito, ma anche del gruppo parlamentare - ha poi rivendicato - e in questa veste ho stabilito di non riammettere Jeremy Corbyn e di tenere sotto revisione il caso fino a che non sarà istituita una procedura disciplinare indipendente nel più breve tempo possibile”. Le sue parole hanno incassato l’apprezzamento del Board of Deputies of British Jews, oltre che di esponenti dell’ala destra ex blairiana del partito come Margaret Hodge, ebrea di nascita, che secondo la Bbc sarebbe stata determinante a spingere Starmer ad agire, con la minaccia di dimettersi in caso contrario lei stessa dal gruppo. Mentre altre associazioni del mondo ebraico gli hanno rinfacciato - al pari del Partito conservatore - d’essersi limitato a offrire “un contentino”, sfidandolo addirittura a espellere Corbyn, bollato da più parti come “nemico d’Israele” fin dagli anni della sua storica militanza nel movimento pacifista e del suo sostegno alla causa palestinese. Di tenore opposto le reazioni della sinistra interna - popolare nella base laburista - che per bocca degli ex ministri ombra John McDonnell e Richard Burgon ha definito “del tutto sbagliata” la scelta di Starmer, foriera di “ulteriori fratture nel partito”. Mentre Jon Lansman, fondatore (ebreo) dell’influente movimento radicale filocorbyniano Momentun e attivista del Socialist Campaign Group, non ha esitato a denunciare la mancata riammissione di Jeremy nel gruppo parlamentare come una plateale “interferenza politica” sulle procedure disciplinari. Lasciando intendere a sir Keir che la battaglia non finirà qui.

Comments


bottom of page