L’accordo Usa-Ue scuote il mercato
- direzione167
- 5 giu 2022
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Acciaio/L’intesa aumenterà l’export, ma le imprese temono la carenza di materie prime

di Gianclaudio Torlizzi
ROMA. L'accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea annunciato al termine del G20 scuote il mercato siderurgico italiano. Se infatti da un lato la revisione della 'Section 232' offrirà alle acciaierie del Vecchio Continente la possibilità di aprirsi al ricco mercato nordamericano, dall'altro lato i loro clienti ossia distributori e utilizzatori temono che, così facendo, l'attuale stato di carenza che attualmente insiste nel mercato possa aggravarsi. L'accordo commerciale di base rappresenta un piccolo capolavoro diplomatico per il presidente americano Joe Biden, sempre più preoccupato dell'impatto inflazionistico derivante dagli alti prezzi delle materie prime. Una dinamica, questa, che, se non gestita, rischia di provocare un effetto rigetto alle prossime elezioni di 'mid-term' da parte delle fasce sociali più vulnerabili. Non è un caso se nelle ultime settimane la Casa Bianca abbia più volte premuto sull'Opec, il cartello dei paesi produttori di petrolio, affinché aumenti l'output al fine di sgonfiare i prezzi del carburante. I moniti però sono sempre stati, almeno per il momento, respinti al mittente.Sugli acciai, invece, Biden vanta una leva maggiore potendo contare sullo 'spread' di oltre 700 dollari la tonnellata che oggi insiste tra il prezzo dei laminati piani negli Usa rispetto a quelli europei. L'annuncio di sbloccare, almeno parzialmente, l'interscambio commerciale (la Ue non potrà esportare più di circa 5 milioni di tonnellate annue) è tuttavia salutato con grande favore anche da parte dei produttori siderurgici europei soprattutto quelli a forno elettrico. I quali negli ultimi mesi sono stati fortemente danneggiati dal 'power crunch' che ha spinto il prezzo dell'elettricità al picco storico di 300 euro/MWh a inizio ottobre, innalzando i costi produttivi di quasi 200 euro/MWh con gravo danno sul fronte della competitività rispetto ai concorrenti turchi che possono invece vantare un prezzo dell'elettricità decisamente inferiore. Il problema, tuttavia, riguarda quali misure di compensazione pensa di intraprendere Bruxelles. Qualora infatti la Commissione Ue decidesse a sua volta di non riformare il sistema attuale delle quote all'import che oggi limitano fortemente gli arrivi di acciaio dall'Asia, il rischio è che l'attuale stato di carenza possa acuirsi ulteriormente, mettendo in grave difficoltà il comparto manifatturiero. A farsi rappresentante dei timori del comparto industriale è Maurizio Casasco presidente di Confapi, la Confederazione italiana delle Piccole e Medie industrie private dichiara come "sebbene sia ancora prematuro comprendere con precisione le reali dimensioni di questa decisione secondo le attese degli operatori siderurgici, il differenziale di prezzo tra acciai Usa ed europei contribuirà ad aumentare l'export del Vecchio Continente. Contemporaneamente si registrano timori che l'aumento delle esportazioni verso gli Stati Uniti porti con sé un nuovo incremento delle quotazioni. Benché non vi siano segnali concreti in questa direzione - auspica Casasco - gli operatori si aspettano che alla revisione della Section 232 da parte di Washington faccia seguito una revisione anche del sistema delle quote voluto da Bruxelles". Lo scetticismo è tuttavia alto. L'aver infatti inserito l'accordo commerciale all'interno dell'ampio dossier sul clima di fatto allontana l'ipotesi che Bruxelles possa a sua volta riformare il sistema delle quote all'import che impedisce oggi all'acciaio asiatico e turco di entrare in Europa, alimentando la grave carenza che contraddistingue il mercato. Si tratta di un cambio di paradigma di cui il governo italiano stando a quanto, riferiscono gli utilizzatori di acciaio, dovrebbe esserne consapevole al fine di farsi portatore a Bruxelles di una revisione strutturale del sistema delle quote che da un lato soddisfi i requisiti del nuovo 'corso climaticò, ma dall'altro scongiuri quelle strozzature sul lato dell'offerta che rischiano di mettere sotto ulteriore stress il comparto manifatturiero italiano, a cui potrebbe non rimanere altra scelta se non quella di trasferirsi in paesi extra Ue
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