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L’intesa sul petrolio è debole

ECCO I NUOVI SCENARI DOPO LO STORICO ACCORDO SUL TAGLIO DELLA PRODUZIONE


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NEW YORK. L’Opec+ strappa un accordo storico per ridurre di quasi il 10% le forniture petrolifere globali. Ma l’intesa non convince del tutto: anche se rappresenta un passo in avanti positivo e mette fine alla guerra dei prezzi fra Arabia Saudita e Russia, non viene ritenuta adeguata a far fronte al crollo della domanda a causa del coronavirus. E così le quotazioni del greggio salgono, ma gli aumenti sono limitati. Dopo la fiammata iniziale seguita all’annuncio dell’accordo, con rialzi nell’ordine dell’8%, i prezzi del Wti e del Brent guadagnano intorno all’1%. Al termine di una serrata trattativa e di ripetuti colpi di scena, il cartello dei paesi produttori e i loro alleati, inclusa la Russia, hanno raggiunto un accordo per ridurre la produzione di 9,7 milioni di barili al giorno in maggio e giugno, pari a circa il 10% delle forniture globali, e per continuare riduzioni fino all’aprile 2022 nel tentativo di stabilizzare i mercati energetici. L’intesa, siglata nel giorno di Pasqua, ha visto Donald Trump giocare il ruolo di mediatore fra Riad e Mosca e tendere la mano al Messico, Paese a lungo criticato dal presidente americano per gli immigrati. Con una girandola di telefonate Trump è però riuscito a rompere l’impasse e convincere l’Arabia Saudita ad accettare un compromesso inizialmente bocciato. L’accordo raggiunto prevede che il Messico riduca la sua produzione di 100.000 barili al giorno, molto meno della quota che gli sarebbe spettato. A colmare il gap fra il taglio accettato dal Messico e quello che avrebbe dovuto effettuare sulla carta sono gli Stati Uniti che, insieme al Brasile e al Canada, ridurranno complessivamente la loro produzione di 3,7 milioni di barili. Il presidente messicano, Andres Manuel Lopez Obrador, canta vittoria per il successo ottenuto nella battaglia con i giganti del petrolio. Parla di un “accordo buono per tutti”. Trump osserva come l’intesa salvi centinaia di migliaia di posti lavoro. Nel suo ruolo di mediatore il presidente Usa rivela poi al mondo che il vero obiettivo dell’Opec+ è un taglio della produzione di 20 milioni di barili, e non di 10 come riferito da tutti. “Se qualcosa di simile accadesse e il mondo tornasse a lavorare dopo il disastro del Covid-19, l’industria dell’energia sarà di nuovo forte”, twitta Donald rump, offrendo così nuovi dettagli su una trattativa difficile che ha visto Riad prima avviare una guerra dei prezzi con Mosca e poi respingere il compromesso proposto dal presidente americano per il Messico. L’accordo si basa anche sull’impegno da parte dei Paesi grandi consumatori di petrolio nel G20, fra i quali gli Stati Uniti, di acquistare greggio a basso prezzo per le loro riserve strategiche in modo da sostenere la domanda. Nonostante la portata storica, l’accordo non convince perché tardivo e non in grado di affrontare adeguatamente il collasso della domanda globale innescato dal virus, che ha ridotto i consumi del 30%. A questo si aggiunge - osservano gli analisti - che l’intesa non entrerà in vigore fino a maggio, consentendo di fatto alle forniture di inondare il mercato per un altro mese. Il taglio è “troppo ridotto e arriva troppo tardi per evitare lo sfondamento della capacità di stoccaggio”, sottolinea ad esempio Goldman Sachs commentando il tentativo di un’azione globale semi-coordinata spinta dai timori di danni di lungo termine al mercato dell’energia, che mai si è trovato davanti a un crollo simile della domanda. Un calo che preoccupa soprattutto le società dello shale americano, fra le quali si teme un’ondata di bancarotte.

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