Macron con Draghi sul ddl Zan
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
ROMA/LA QUERELLE FRA LO STATO ITALIANO E IL VATICANO APPRODA A BRUXELLES

di Giampaolo Grassi
ROMA. La querelle fra il Vaticano e lo Stato italiano sul Ddl Zan contro l’omofobia è approdata a Bruxelles, dove era in corso il Consiglio europeo. Il tema non è stato al centro di appuntamenti ufficiali, ma si è affacciato nei corridoi. Sollecitato dai cronisti, il presidente francese Emmanuel Macron ha sposato la posizione del premier Mario Draghi, che ha ricordato come l’Italia sia uno Stato laico e il Parlamento sia libero. “Quello che posso dire - è stata la risposta di Macron - è che l’approccio dell’esecutivo italiano è giusto. La Francia è uno Stato secolare e laico da molto tempo, in Francia decide sempre il governo”. Sull’argomento, viene comunque spiegano fonti di Palazzo Chigi, non c’è stato alcuno scambio con i leader europei. Anche perché il Vaticano ha già limato le polemiche. Il cardinale Pietro Parolin ha poi chiarito che non c’è bisogno di alcun tavolo: “Non è una materia che dobbiamo trattare insieme”. Però, ha precisato, “ci sembrava necessario far presente il nostro punto di vista. Abbiamo invitato a tenere conto anche di quelle che sono le esigenze della libertà di religione, d’insegnamento e di espressione”. Se sul fronte diplomatico si cerca di smorzare le tensioni, a livello di maggioranza il clima si è fatto più aspro. L’immagine dello stato dell’arte l’ha data l’esito dell’sms inviato da Matteo Salvini a Enrico Letta, per ribadire la volontà al dialogo. L’invito è caduto nel vuoto. “Io non ho mai rifiutato il confronto - ha detto Letta - ma la Lega non ha nessuna voglia di migliorare questo testo, vuole solo affossarlo”. Mentre Silvio Berlusconi ha chiuso l’argomento: “Il governo deve realizzare grandi riforme, non i provvedimenti divisivi come la legge Zan”. Il guazzabuglio si è ancor più annodato quando il leghista Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza Regioni, ha detto che il ddl Zan non è da correggere, ma che “va rifatto”. Una frase che il vicecapogruppo dem al Senato, Franco Mirabelli, ha tradotto così: “Ha chiarito che i richiami di Salvini al dialogo sono una finta propagandistica”. Il nodo sta infatti - anche - sul tipo di intervento da fare sulla norma. Per il Pd la via maestra è quella di approvarla così come è uscita dalla Camera (a novembre, dalla maggioranza giallorossa). Ma c’è un timore. Lo ha confessato il promotore della legge, il deputato dem Alessandro Zan, quando ha accennato ai “voti segreti”, col rischio “di andare sotto, che è anche possibile”. Anche alla luce di questo, il dem Mirabelli nei giorni scorsi ha aperto alla possibilità di un confronto con le altre forze politiche “nel merito, per allargare il consenso sul ddl Zan senza stravolgerlo”. L’occasione ci sarà mercoledì prossimo. Per quel giorno, il presidente della commissione Giustizia del Senato, il leghista Andrea Ostellari, ha convocato un tavolo fra i capigruppo di maggioranza. Tutti hanno aderito. Per i dem potrebbe far gioco aprire una discussione su proposte magari in arrivo da Forza Italia, anche per indebolire il fronte di centrodestra. La vicecapogruppo azzurra al senato, Licia Ronzulli, ha chiesto che al tavolo vengano abbandonate “le posizioni ideologiche per lavorare per un testo condiviso da tutti”. Per il Pd, però, aprire a una modifica vorrebbe dire anche rischiare di allungare in maniera indefinita i tempi di approvazione - visto che sarebbe necessario un nuovo passaggio alla Camera - e di dare un motivo alla Lega per cantare vittoria.
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