Multe e black list ai soliti «furbetti»
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Delocalizzazioni/Le sanzioni sono contenute nel decreto sul tavolo del ministro del Lavoro Orlando

di Enrica Piovan
ROMA. Il governo dice basta ai 'furbetti’ delle delocalizzazioni. Per le aziende che, pur non essendo in crisi, decidono di chiudere e delocalizzare, sono infatti in arrivo multe e l'inserimento in una black list con il divieto di accesso ai finanziamenti e incentivi pubblici. Le sanzioni sono contenute nel decreto cui stanno lavorando il ministro del lavoro Andrea Orlando e la viceministra allo sviluppo economico Alessandra Todde, che introduce un nuovo percorso obbligato per chi decide di chiudere, con impegni precisi anche sul fronte della salvaguardia occupazionale e della reindustrializzazione. "Chi non è in crisi e vuole tagliare, può farlo. Ma dovrà seguire un percorso ordinato, che coin volga le parti sociali e favorisca l'arrivo di nuovi imprenditori", sintetizza la viceministra Todde, che chiarisce: "Il nostro obiettivo non è colpire le ristrutturazioni tout court. Non vogliamo colpevolizzare chi fa turnaround perché deve passare a modelli produttivi diversi, non abbiamo di certo in testa imprese che vivano di sussidi. La competitività è l'obiettivo, ma atteggiamenti puramente speculativi non sono più accettabili". Sulle nuove norme il governo vuole agire in fretta, in modo da poterle applicare anche ai casi emblematici più recenti, come Gkn e Gianetti Ruote: per questo si punta a portare in discussione il decreto al primo consiglio dei ministri tra fine agosto e inizio settembre. Ad essere coinvolte saranno le aziende con un numero di addetti "superiore o uguale - si legge nella bozza - cinquanta/centocinquanta", ma il numero definitivo potrebbe essere intorno a 100. Con l'obiettivo di garantire il "diritto di allerta", ossia il diritto dei lavoratori di conoscere per tempo le decisioni di chiusura aziendale, e il diritto delle istituzioni competenti di intervenire per supportare e mitigare le conseguenze, il provvedimento introduce un percorso obbligato per le aziende che decidono di chiudere il sito: in particolare l'impresa è tenuta a comunicare con almeno 6 mesi di preavviso il progetto di chiusura alle istituzioni, indicando le ragioni, le persone interessate e i tempi previsti. Comunicazione che va fatta prima dell'eventuale avvio della procedura di licenziamento collettivo. Entro un mese dalla comunicazione, poi, l'azienda deve procedere alla nomina di un 'advisor' che sarà l'interfaccia con gli interlocutori istituzionali e che, entro 3 mesi dalla comunicazione formale di chiusura volontaria, procederà alla stesura del Piano per mitigare le ricadute occupazionali ed economiche, con azioni per la salvaguardia dei livelli occupazionali e un percorso di reindustrializzazione per individuare per almeno 3 mesi un potenziale acquirente. Inoltre, per "scoraggiare comportamenti speculativi" di chi usufruisce di agevolazioni e contributi pubblici e, una volta terminati, decide di delocalizzare anche se non in crisi, arrivano le sanzioni. Chi ha ricevuto contributi pu blici nazionali nei 3/5 anni precedenti, qualora decida di chiudere violando il diritto di allerta e i termini e le modalità previsti dalla procedura di reindustrializzazione, avrà una sanzione pari al 2% del fatturato dell'ultimo esercizio. Importo che andrà ad un Fondo dedicato alla reindustrializzazione, per supportare iniziative trasformazionali del business e politiche di sviluppo e formazione per la ricollocazione del personale. L'azienda che chiude in assenza delle condizioni previste dal decreto, poi, viene inserita in una 'black list' nella quale, insieme ai soggetti che fanno parte dello stesso gruppo industriale o legati da un rapporto di direzione e coordinamento e/o controllo, per 3 anni non potrà accedere a finanziamenti o strumenti di incentivi pubblici nazionali o attingere agli ammortizzatori sociali.
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