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Patto di stabilità: via ai negoziati

Ue/Gli Stati cambieranno le regole su debito e deficit dopo la pandemia



di Valentina Brini

BRUXELLES. Ora che per Bruxelles cambiare le regole del Patto di stabilità non è più un tabù, tocca ai governi nazionali. A più di un anno e mezzo dai primi annunci e dopo lo stop dovuto al Covid, la discussione sulla riforma delle regole Ue sui conti pubblici approda per la prima volta sul tavolo dei ministri europei delle Finanze. Chiamati lunedì e martedì a iniziare a imbastire le premesse per un accordo molto complicato da raggiungere entro il 2023, ma necessario per scongiurare il ritorno alle vecchie regole su debito e deficit proprio mentre l’economia del Continente deve riprendersi dai colpi della pandemia. Se la strada del negoziato è in salita e i tempi sembrano essere dilatati - complice anche l’attesa per l’insediamento del nuovo governo in Germania e il voto presidenziale in Francia ad aprile - il punto di partenza è il documento con il quale il mese scorso la Commissione europea ha dato il via a una prima consultazione pubblica - che si chiuderà il 31 dicembre - alla ricerca di “un ampio consenso” tra gli Stati membri. Fonti europee qualificate fanno sapere che fin qui tutti i Ventisette “capiscono la necessità di applicare le regole in modo intelligente”. Vale a dire che, davanti all’impennata dei debiti pubblici nell’Eurozona arrivati ormai in media attorno al 100% del Pil, “nessuno crede che l’applicazione cieca della regola del 60% del rapporto debito/Pil”, con la riduzione di un ventesimo all’anno della parte eccedente il 60%, “sia la strada giusta da percorrere”. L’obiettivo è invece quello di garantire un rientro dei livelli di debito più alti realistico e sostenibile. Soprattutto se si vuole evitare di strangolare la ripresa con interventi da lacrime e sangue. Parlare di numeri e tecnicismi comunque al momento è prematuro e rischia, anzi, di essere controproducente. Per questo il primo round di colloqui servirà a fare una ricognizione sugli obiettivi macroeconomici da raggiungere. Per primo quello indicato dal responsabili della sorveglianza dei conti pubblici, Paolo Gentiloni: “Garantire che l’economia del Continente si sposti su un nuovo percorso di crescita forte e sostenibile”. Un traguardo non ancora a portata di mano, visto che - come Bruxelles si appresta a certificare la prossima settimana nelle sue nuove stime economiche - la crescita in Ue “continua ad apparire forte” ma le prospettive sono dominate da “un’alta incertezza”, con “alcuni notevoli rischi di peggioramento”. Il nodo è “come cambiare” i vincoli introdotti dopo la crisi dei debiti (two e six pack) per stabilizzare le economie e dare spazio agli investimenti pubblici per le svolte del verde e del digitale. L’appello di Gentiloni è ad avere una “mentalità aperta” e “idee nuove” per trovare la quadratura del cerchio. Ma un alto funzionario Ue ha chiarito che i governi restano trincerati nelle tradizionali divisioni tra Nord e Sud e chi ritiene che l’attuale flessibilità abbia funzionato bene e chi invece vorrebbe più ambizione. La proposta formale di riforma da parte della Commissione Ue è attesa all’inizio del 2022, ma difficilmente il quadro si farà più chiaro prima delle elezioni presidenziali francesi in aprile. Il negoziato potrebbe invece decollare a luglio, quando sarà la Repubblica Ceca a guidare la presidenza di turno dell’Ue raccogliendo il testimone proprio da Parigi. Molto dipenderà anche dal futuro esecutivo tedesco e da chi, a Berlino, rivestirà il ruolo di ministro delle Finanze. Nel frattempo è proprio la Germania a tenere ostaggio la riforma del Mes, messa ormai in soffitta dai più dopo mesi al centro della scena, soprattutto italiana. Per l’entrata in vigore del backstop per la risoluzione bancaria il 1 gennaio 2022 mancano ancora le ratifiche di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ma il ritardo è dovuto a questioni tecniche. Il nodo però è a Berlino, dove è il ricorso dei liberali, prossimi alleati di governo del socialista Olaf Scholz, alla Corte di Karlsruhe a frenare tutto.

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