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Patto su manovra poi il Colle

GOVERNO/PROVE DI DIALOGO FRA I LEADER PER L’ACCORDO SUL TAGLIO FISCALE E LA SCELTA DEL PRESIDENTE





ROMA. Tutti i leader della maggioranza seduti allo stesso tavolo: prima per blindare la legge di bilancio, poi per pilotare l’elezione del presidente della Repubblica. E’ Enrico Letta a lanciare la proposta, per evitare che lo “sfilacciamento” del quadro politico dissemini di mine il percorso parlamentare della manovra e renda poi ingovernabile la partita del Colle. Bisogna “proteggere” Mario Draghi dal “toto nomi” per il Quirinale, avverte Luigi Di Maio, o si rischia di “compromettere la legge di bilancio”. E anche Silvio Berlusconi, che vuole Draghi a Palazzo Chigi “fino al 2023 e oltre”, è convinto che un tavolo sulla manovra sia utile. Tanto utile che Matteo Salvini rivendica di averlo proposto al premier prima di tutti, il 13 ottobre. In concreto, i segretari dovrebbero accordarsi sul taglio delle tasse e poi, con rinnovata concordia, sedersi a un secondo tavolo per trovare una soluzione per il Colle. Ma Salvini non si spinge a dire di sì al “doppio patto”: di Quirinale si parlerà poi, dicono dalla Lega, mentre tornano a chiedere di togliere fondi al Reddito di cittadinanza. Non il migliore viatico, per i mesi a venire: gli alleati non si fidano. L’impianto della manovra, dicono dal governo, non può essere smontato. Fatta questa premessa, c’è interesse verso la proposta lanciata da Letta in un’intervista alla Stampa e accolta dagli altri partiti (silente per ora Giuseppe Conte), se servirà ad evitare che domani l’apertura in Senato della sessione di bilancio dia il via a un assalto alla diligenza della legge di bilancio. Nei prossimi giorni si vedrà se si aprirà un tavolo con Draghi o solo tra i segretari. Di sicuro c’è da definire come usare gli 8 miliardi a disposizione in manovra per tagliare le tasse. Il confronto, ha anticipato il premier, sarà anche con le parti sociali. L’obiettivo è presentare un emendamento del governo entro fine novembre. Ma in partenza le posizioni dei partiti sono distanti. Il Pd chiede di destinare gran parte delle risorse a tagliare l’Irpef per i lavoratori del ceto medio, centrodestra e Iv chiedono di agire anche sull’Irap. E Salvini alza la posta chiedendo di “eliminare gli sprechi del Reddito e destinare più risorse” alle tasse, ad esempio con la flat tax per gli autonomi fino a 100mila euro. Anche sulle pensioni la Lega, che dice di lavorare “con governatori, sindaci, parlamentari”, non sembra voler mollare la presa. E Draghi martedì con il ministro Pd Andrea Orlando si prepara ad aprire il tavolo con i sindacati per accorciare le distanze sulla previdenza, con criteri più flessibili di uscita dal 2023, i leghisti son pronti a rilanciare “quota 41”, con 62 anni di età. Il problema più immediato è però come mettere al riparo la manovra dalle turbolenze parlamentari. Perché se qualcosa sarà possibile correggere - potrebbe essere ad esempio alzato da 25mila a 40mila euro il tetto Isee del Superbonus per le villette - bisogna evitare che sugli oltre 200 articoli del testo si scateni un “Vietnam” parlamentare. I voti in Senato potrebbero essere per peones e correnti di partito occasione per lanciare ai rispettivi leader - e al premier - segnali in vista del Quirinale. Non si possono mettere a rischio manovra e Pnrr, ma neanche l’azione sul fronte Covid, perciò Di Maio afferma che non si potrà tornare a votare dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato. E’ quello che centinaia di parlamentari timorosi di una fine anticipata della legislatura vogliono sentirsi dire. Ma bisogna anche mostrarsi “responsabili”, sottolinea Letta, di fronte agli elettori con cui i partiti si misureranno alle prossime politiche. Perciò, concorda Carlo Calenda, è “sensato” mettere al riparo la manovra dalle turbolenze del Quirinale ed Ettore Rosato afferma che Iv è pronta a mettere “in sicurezza i conti”. “Berlusconi è favorevole e io con lui”, dichiara Antonio Tajani. Una volta mostrato il controllo dei gruppi parlamentari sulla manovra - secondo lo schema di Letta - i leader potrebbero sedersi al tavolo del Colle. Ma qui iniziano i problemi. Li mette in luce Di Maio, che sottolinea come non ci si possa fidare dei due Matteo: la convinzione del ministro degli Esteri è che il leghista non abbia una candidatura unitaria di centrodestra (“Stanno illudendo Berlusconi”) e non ne voglia trovare una comune a tutti. Perciò intanto è meglio tenere al riparo i nomi di Draghi e di Sergio Mattarella: “Se li portiamo nel dibattito sul Quirinale indeboliamo le istituzioni”, afferma il ministro degli Esteri. Ma proprio sul premier e il capo dello Stato continuano a centrarsi le attenzioni dei leader: Draghi al Colle con un nuovo premier a Chigi o Mattarella bis, restano gli schemi più gettonati. Prima bisogna evitare che abbiano però la meglio i franchi tiratori e trascinino nel pantano non solo il Quirinale ma anche il governo Draghi, senza più maggioranza.

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