Recovery Fund, Ue divisa
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
PRESSING DI CONTE: “LUGLIO DECISIVO, SE LE RISPOSTE TARDANO SALTA TUTTO”

di Patrizia Antonini
BRUXELLES. L’Ue resta spaccata sul Recovery fund, con i Paesi frugali (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca) che non perdono occasione per rimarcare inflessibili le loro linee rosse, una parte dei Visegrad (Ungheria e Repubblica Ceca) che si è fatta più esplicita nelle critiche puntando ad una fetta più grossa di aiuti, e l’Italia che per bocca del premier Giuseppe Conte ha avvertito: “Non possiamo permetterci compromessi al ribasso”. Tutto intorno, tra gli altri partner, c’è un sottobosco di mugugni, con alleanze a geometrie variabili su questo o quell’elemento della proposta da 750 miliardi messa sul tavolo dalla Commissione di Ursula von der Leyen. In questo scenario, nessuno si fa illusioni sul risultato della videoconferenza dei leader di venerdì: sarà un summit interlocutorio, come lo stesso presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha spiegato fin dal momento della convocazione. Ma al tempo stesso la speranza è che possa essere uno snodo centrale, per restringere il campo del negoziato, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa entro fine luglio, o comunque prima della pausa estiva. “Se ritarderemo le risposte potremo certificare il fallimento del mercato unico e di altri pilastri dell’Ue”, ha messo in guardia Conte. Un punto ben chiaro ai vertici delle istituzioni Ue, Michel, von der Leyen e David Sassoli, ma anche al presidente Emmanuel Macron e alla cancelliera Angela Merkel (il governo di Berlino ha appena varato una nuova manovra finanziaria che fa salire il rapporto debito/Pil al 77% nel 2020), impegnati a scongiurare un rinvio a settembre anche per evitare sovrapposizioni con l’altrettanto difficile trattativa sulle relazioni commerciali post-Brexit con Londra. Anche per questo motivo c’è chi immagina che a luglio i summit sul Recovery fund potrebbero essere due. Lo stesso premier Giuseppe Conte, che continua a prendere tempo sull’utilizzo del Mes, non ha fatto mistero che “le posizioni degli Stati membri restano distanti su più punti”. Sottolineando che “manca la proposta formale” di Michel sul bilancio pluriennale, strettamente collegato al piano per la ripresa dell’Unione. “Non possiamo permetterci compromessi al ribasso - ha avvertito comunque Conte -. Tutti gli Stati membri sono chiamati a decisioni di alto profilo” e l’Italia chiede che “non ci si discosti dalla proposta della Commissione di Ursula von der Leyen, sul volume ed il finanziamento a lungo termine”. Intanto il leader di FI, Silvio Berlusconi, ha messo le mani avanti, e partecipando al summit del Ppe ha chiesto a von der Leyen “di individuare formule-ponte che consentano ai Governi nazionali di avere risorse prima del 2021, per poter arrivare al prossimo anno senza problemi”. Di fatto le spine del dibattito di venerdì Michel le ha già elencate nella sua lettera di invito ai capi di Stato e di governo, e non sono trascurabili. Giusto per citare le principali: i frugali Mark Rutte, Sebastian Kurz, Mette Frederiksen e Stefan Lofven sono contrari ai 500 miliardi di sovvenzioni previsti dal pacchetto del Recovery, di cui sono prime beneficiarie Italia e Spagna, e insistono sulla necessità che i prestiti siano condizionati a riforme strutturali, con una forma di controllo (governance) in cui anche gli Stati membri abbiano voce in capitolo, punto quest’ultimo su cui hanno l’appoggio tedesco. L’ungherese Viktor Orban ed il ceco Andrej Babis sono d’accordo con i frugali nella critica alle sovvenzioni, ma soprattutto stigmatizzano i criteri per l’allocazione degli aiuti, ‘ingiusti’ dicono, interpretando il mood di numerosi altri Paesi.
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