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Ritorna il ‘bimbo dell’Isis’

LA MADRE JIHADISTA LO PORTÒ IN SIRIA, IERI IL SOSPIRATO RIENTRO IN ITALIA

Igor Greganti


MILANO. La tenacia di investigatori, magistrati, 007, donne e uomini della Croce Rossa e dell’Unhcr, abituati a lavorare nelle zone di guerra, e soprattutto la forza di un padre che non si è mai arreso pur di riportare indietro il figlio che ha visto prima gli orrori del “califfato” e poi la madre, seguace dell’Isis e che lo aveva portato via dalla sua famiglia, morire in un’esplosione a fianco a lui. Torna finalmente in Italia, dopo quasi 5 anni in Siria, e può riabbracciare il papà, quel bambino di ormai 11 anni rapito, il 17 dicembre 2014, dalla mamma Valbona Berisha, strappato anche alle due sorelle e inserito nello ‘Stato islamico’. Dopo la caduta dell’Isis e la morte della madre di origine albanese, il bimbo viveva nell’area ‘orfani’diAl Hol, campo profughi nel nord est della Siria sotto il controllo dei curdi e che ospita oltre 70 mila persone, in gran parte compagne e figli di combattenti jihadisti morti o in prigione. Là il ragazzino è stato individuato a luglio, dopo complesse ricerche dello Scip della Polizia e del Ros dei carabinieri, e riconosciuto grazie a una foto e a un dettaglio fisico dal padre Afrim (c’è stata anche un comparazione fisionomica della Polizia scientifica). Padre che più volte in questi anni è partito da Barzago (Lecco) per cercarlo e che a settembre, anche grazie a troupe e giornalisti de ‘Le Iene’, era riuscito anche a parlargli, ma non a portarlo via dal campo perché mancava, tra l’altro, una “richiesta di ricongiungimento”. Il bambino, poi, in questi giorni è stato prelevato da Al Hol con un’operazione non priva di rischi, a cui hanno partecipato anche uomini dell’Aise con la collaborazione di autorità albanesi (il premier Edi Rama ha voluto ringraziare Giuseppe Conte) e curde, trasferito fino a Damasco da dove poi ha raggiunto l’ambasciata italiana a Beirut. E da lì, il sospirato ritorno in Italia. Anche se non parla quasi più italiano, “ricorderebbe le sue origini” e “l’esistenza di due sorelle”, ha raccontato un investigatore davanti al gup di Milano Guido Salvini che, nel procedimento aperto a carico della madre per sottrazione di minori, sequestro di persona e terrorismo internazionale, dispose l’attivazione delle ricerche della donna e del figlio anche alla luce della disfatta dello Stato islamico. Accertamenti seguiti passo passo dal capo del pool dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili. “E’ vestita che sembra una Ninja”, diceva, riferendosi alla madre, il bimbo già in Siria, come si legge negli atti dell’indagine del pm Alessandro Gobbis. In Italia dal 2000, con una famiglia ben integrata, ‘Bona’, soprannome di Valbona Berisha, era diventata un’estremista islamica ed era fuggita dal Lecchese abbandonando il marito muratore e le altre 2 figlie. La donna avrebbe avuto contatti con esponenti dell’Isis ad alti livelli e avrebbe raggiunto col figlioAl Bab, ad una quarantina di chilometri da Aleppo. Città dove sarebbe arrivata grazie all’aiuto di un foreign fighter albanese che avrebbe comprato il biglietto aereo per lei e per il bimbo, dalla stessa madre messo a disposizione della jihad, obbligandolo a frequentare un campo di addestramento per imparare “l’uso delle armi”. Ci sarà, poi, anche la necessità di sentire il bambino in un’audizione protetta, perché sarebbe stato testimone diretto della morte della madre, ha messo a verbale l’investigatore del Ros che ha seguito tutta l’indagine, in un “non meglio precisato scontro a fuoco”, mentre lui sarebbe stato salvato “probabilmente da forze curde”.

Tra l’altro, ha detto ancora l’investigatore, il piccolo aveva già raccontato “che il suo nome da convertito è Yussuf”, nome che ha trovato “riscontro in informazioni che aveva assunto” il padre stesso nei mesi scorsi.

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