Scintille con Teheran e Baghdad
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
PENTAGONO/TENSIONE DOPO I BOMBARDAMENTI CONTRO I COMBATTENTI SCIITI
di Andrea Caltagirone

WASHINGTON. Prima il monito del segretario di stato americano Mike Pompeo che mette in guardia Teheran dal creare pericoli per gli americani in Medo Oriente. Poi il regime degli ayatollah che avverte l’amministrazione Trump che ogni attacco alle milizie filo iraniane non rimarrà impunito. Infine l’ira del governo iracheno che si dice pronto a rivedere le relazioni con gli Usa dopo le incursioni americane sul proprio territorio. Così i bombardamenti contro i combattenti sciiti in Iraq e Siria rischia di provocare un’escalation dalle conseguenze imprevedibili. Con l’annus horribilis delle relazioni tra Usa e Iran, dopo il disgelo dell’era Obama, che potrebbe finire nel peggiore dei modi. Lo scontro in atto non lascia presagire nulla di buono e rischia di incendiare ulteriormente una regione già martoriata dalla guerra civile in Siria, dal conflitto in Yemen e dalla lotta a ciò che rimane dell’Isis. Dal 28 ottobre almeno 11 attacchi di gruppi sciiti filo iraniani hanno preso di mira basi militari irachene dove sono dispiegati soldati o diplomatici statunitensi. L’ultimo venerdì scorso, quando un violento attacco missilistico ha colpito una base che ospita militari americani a Kirkuk, uccidendo un contractor statunitense e provocando anche feriti tra il personale Usa ed i servizi di sicurezza irachena. Da qui la risposta americana: una pioggia di fuoco contro le basi dei miliziani sciiti non solo in Iraq, ma anche in Siria. “Non staremo a guardare il fatto che l’Iran assuma azioni in grado di mettere uomini e donne americane in pericolo”, ha affermato Pompeo, volato con il segretario alla difesa Mark Esper nella ‘Casa Bianca d’inverno’ di Mar-a-Lago, in Florida, dove il presidente Donald Trump sta passando le festività di fine anno. Il presidente è stato aggiornato nel dettaglio sulla situazione e sull’operazione Usa che ha portato ad attacchi definiti “difensivi e mirati”. Attacchi sferrati contro cinque strutture delle milizie KH in Iraq e Siria che hanno stretti legami con i corpi speciali dei Pasdarn iraniani, la Quds Force.
L’obiettivo dei raid, in cui sarebbero morti almeno 15 combattenti sciiti, è stato quello di indebolire loro capacità di condurre in futuro attacchi contro le forze della coalizione anti-Isis, distruggendo depositi di armi e centri di comando. Per Tehe ran si tratta senza mezzi termini di terrorismo. Dura la condanna del presidente iraniano Hassan Rohani, per il quale “il tem- po delle sanzioni e delle pressioni contro l’Iran finirà. Lo scopo dei nemici di farci cedere e sedere al tavolo dei negoziati per accettare tutto ciò che vogliono”. Rabbiosa anche la reazione di Baghdad: “Le forze americane hanno agito in funzione delle loro priorità e non di quelle degli iracheni”, denuncia l’esecutivo in una nota dopo un meeting straordinario. Tali raid “violano la sovranità dell’Iraq e sono contrari alla regole d’ingaggio della coalizione” anti- Isis. Ma critiche arrivano anche da Mosca, nonostante poche ore prima ci fosse stata una telefonata a sorpresa di Vladimir Putin a Donald Trump, col presidente russo che ha ringraziato quello americano per l’aiuto dato sul fronte della lotta al terrorismo, grazie ad informazioni trasmesse dagli Usa e che hanno aiutato a prevenire atti terroristici in Russia. Una chiamata resa pubblica dal Cremlino e confermata poi dalla Casa Bianca, e in cui si è auspicata anche la cooperazione sul fronte del controllo degli armamenti. Ma Mosca non ha gradito gli attacchi alle milizie filo iraniane in Iraq e Siria, definiti “inaccettabili e controproducenti” in una nota del ministero degli esteri. Nota in cui si invita Washington “ad astenersi da ulteriori azioni che possano destabilizzare la situazione politico-militare in Iraq, Siria e nei paesi vicini”.
















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