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Shalabayeva: chieste condanne in appello per Cortese e altri

Ipotizzato sequestro persona anche per Improta, falso prescritto



PERUGIA, 14 APR - La condanna a quattro anni di reclusione per sequestro di persona e l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni è stata chiesta dalla procura generale di Perugia nei confronti di Renato Cortese, Maurizio Improta, Francesco Stampacchia e Luca Armeni, nell'ambito del processo in corso davanti alla Corte di appello del capoluogo umbro per la vicenda legata all'espulsione dall'Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov e della loro figlia Alua. Chiesti, invece, due anni e 8 mesi per Vincenzo Tramma, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. La procura generale ha sollecitato inoltre l'assoluzione, perché il fatto non costituisce reato, per il funzionario di polizia Stefano Leoni e per il giudice di pace Stefania Lavore. Per le accuse di falso la Procura generale ha chiesto infine il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Alma Shalabayeva, affiancata da una interprete, era presente oggi in aula e ha assistito alla requisitoria del sostituto procuratore generale Claudio Cicchella e del capo dell'Ufficio Sergio Sottani. Con la donna anche tutti e sette gli imputati. Per l'espulsione dall'Italia di Alma Shalabayeva, nel maggio del 2013, il tribunale di Perugia, ha condannato (il 14 ottobre 2020) a cinque anni di reclusione l'ex capo della squadra mobile di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta, all'epoca responsabile dell'ufficio immigrazione. All'allora giudice di pace Stefania Lavore sono stati inflitti due anni e mezzo, cinque anni ai funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e rispettivamente a quattro anni e tre anni e sei mesi a quelli dell'Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. Cortese, Armeni, Stampacchia, Tramma, Leoni e Improta sono stati riconosciuti responsabili di sequestro di persona nei confronti di Alma Shalabayeva, già assolta invece in primo grado da questo reato il giudice Lavore. Nel processo, oltre al sequestro di persona, erano contestati diversi episodi di falso.

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