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Si decide sull’estradizione

LONDRA/ASSANGE IN TRIBUNALE, PARTE IL PROCESSO SULLA RICHIESTA DEGLI USA




di Alesandro Logroscino

LONDRA. Un uomo provato, fisicamente e soprattutto psicologicamente, ma deciso ad affrontare la battaglia del destino per cercare di evitare una consegna agli Usa (quasi certa) che potrebbe significare finire murato vivo in una cella.E’ l’immagine che Julian Assange ha dato di sé alla Woolwich Crown Court, alla periferia di Londra, dove ha preso il via il processo di primo grado dinanzi alla giustizia britannica sulla controversa richiesta d’estradizione presentata da Washington: che insegue il fondatore di WikiLeaks senza tregua dal 2010, ossia da quando l’attivista australiano avviò la pubblicazione - attraverso la sua creatura online, ma anche attraverso giornali come il Guardian o il New York Times - di una caterva di documenti riservati imbarazzanti per il potere a stelle e strisce, a iniziare da quelli sottratti dagli archivi del Pentagono dalla whistleblower Chelsea Manning.L’iter della giustizia britannica durerà diversi mesi. Al momento sono previste alcune udienze fino al 28 febbraio, con una coda a maggio. E una sentenza appellabile entro settembre. Discusso, ma senza dubbio scomodo per un establishment che lo vorrebbe già condannato, Assange è comparso in aula vestito di grigio, più vecchio dei suoi 48 anni, di fronte alla giudice Vanessa Braitser. E ha cercato anche di prendere la parola fin da subito per lamentarsi del rumore di fondo dei canti e degli slogan di protesta dei suoi stessi sostenitori: presenti sia in galleria sia fuori dal tribunale.Una mobilitazione di persone “disgustate” da quello che considerano un travestimento della giustizia, ha detto combattivo, esprimendo loro gratitudine. Ma il cui eco “non aiuta” la sua fragile concentrazione.Per il resto, la giornata è stata inaugurata dall’avvocato John Lewis, chiamato a rappresentare le “ragioni” dell’istanza americana cui il governo conservatore britannico si è dichiarato pronto da tempo a dire signorsì, ma per la quale serve il placet delle corti. E a ribadire la tesi d’accusa a dar credito alla quale WikiLeaks avrebbe messo a rischio la vita di decine di spie, funzionari e informatori Usa, svolgendo “un’attività criminale” che “nemmeno il giornalismo” può giustificare.Arrestato dopo essersi visto revocare l’asilo che aveva avuto per oltre 6 anni nell’ambasciata ecuadoriana di Londra Assange è intanto destinato a restare nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, pur avendo finito di scontare da mesi la pena inflittagli nel Regno per aver violato nel 2012 i termini della cauzione in relazione a una contestata indagine svedese per stupro poi archiviata. Additato dagli avversari come un hacker - e negli ultimi anni sospettato pure di rapporti opachi con la Russia - l’australiano è difeso tuttavia da numerosi militanti, giuristi, uomini politici, artisti (fra i tanti sono tornati a farsi sentire Vivienne Westwood o Roger Waters).Nonché da Amnesty International, da un comitato Onu sui diritti umani che ne denuncia anche la detenzione protratta nel Regno Unito come una forma di “tortura” e dai vertici dell’opposizione laburista britannica, che lo descrivono come vittima di “una persecuzione politica”, reo in sostanza solo d’aver esposto nero su bianco crimini di guerra delle forze alleate in Iraq o Afghanistan.L’estradizione, notano queste voci, sarebbe un pericoloso precedente per la libertà d’informazione: tanto più che Washington ha fatto ricorso per la prima volta ad accuse di spionaggio (che potrebbero costare ad Assange fino a 175 anni di galera) per un caso di diffusione mediatica di materiale d’interesse pubblico, per di più da parte d’un civile straniero.Mentre sulla credibilità americana pesa pure il sospetto del baratto che, stando alla difesa, Donald Trump avrebbe già offerto indirettamente all’imputato ventilando la grazia in cambio di smentite sul cosiddetto Russiagate.E questo senza contare i 117 medici firmatari d’un appello appena pubblicato sul prestigioso Lancet in cui si sottolineano le allarmanti condizioni dell’ormai ex primula rossa. Condizioni che in- ducono il padre di Julian, John Shipton, a paventarne l’estradizione nient’altro che come una “condanna a morte” di fatto.

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