Spiati i reporter del Post
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 2 min
RUSSIAGATE/PER SCOPRIRE LE FONTI. IL GIORNALE: ATTENTATO ALLA LIBERTÀ DI STAMPA

WASHINGTON. Un “attentato alla libertà di stampa”. E’ polemica in Usa dopo la scoperta che il governo Trump ha “spiato” tre reporter del Washington Post mentre nel 2016 indagavano sulle interferenze russe nelle elezioni Usa e sui rapporti della campagna del tycoon con Mosca. Lo ha rivelato lo stesso quotidiano, autore in passato di scoop storici, dal Watergate ai Pentagon Paper. Il dipartimento di Giustizia ha notificato solo nei giorni scorsi ai tre reporter (Ellen Nakashima, Greg Miller e Adam Entous, quest’ultimo non più al Post) l’acquisizione segreta dei dati dei loro telefoni fissi personali e professionali, e dei loro cellulari, nel periodo tra il 15 aprile 2017 e il 31 luglio 2017. E il (fallito) tentativo di entrare in possesso anche delle loro email. Senza peraltro indicarne lo scopo, anche se alla fine di quel periodo rivelarono che il senatore Jeff Sessions aveva discusso con l’ambasciatore russo in Usa Serghiei Kisliak la campagna presidenziale di Trump, di cui poi divenne ministro della Giustizia. Una vicenda basata su intercettazioni di intelligence top secret e inquadrata nello scandalo Russiagate. Cameron Barr, caporedattore centrale del giornale, si è detto “profondamente preoccupato per questo utilizzo del potere governativo allo scopo di ottenere accesso alle comunicazioni dei giornalisti”. “Il ministero della Giustizia deve fare luce immediatamente sui motivi della sua intrusione nelle attività dei reporter, che sono protette dal primo emendamento della costituzione”, ha ammonito. La protesta è dilagata. L’Unione americana per le libertà civili (Aclu) ha denunciato che il ministero della Giustizia ha “spiato” questi giornalisti “sulla base dei capricci di un governo” e ha “compromesso la libertà di stampa”. Bruce Brown, direttore esecutivo del Comitato reporter per la libertà di stampa, ha osservato che l’incidente “solleva serie preoccupazioni sul primo emendamento perché interferisce con il libero flusso dell’informazione al pubblico”. Un portavoce del ministero ha replicato che l’acquisizione dei dati risale al 2020, in epoca Trump, ma che non riguarda il contenuto delle conversazioni e che l’obiettivo dell’indagine non sono i giornalisti bensì le loro fonti: cioè le ‘talpe’. Una spiegazione che non ha placato le polemiche, anche se la notifica potrebbe sembrare uno sgambetto dell’amministrazione Biden volto a smascherare le manovre opache del suo predecessore. L’ex presidente intanto ringrazia la commissione elettorale federale per aver lasciato cadere quello che ha definito come un “caso falso contro di me”: l’inchiesta sulla presunta violazione della legge sui finanziamenti della campagna elettorale, per aver comprato alla vigilia del voto del 2016 il silenzio della pornostar Stormy Daniels sul loro presunto affaire. Un pagamento di 130 mila dollari confessato da Michael Cohen, allora suo avvocato personale, che invece è stato condannato per questo ed altri reati. Ma la commissione elettorale era entrata in una situazione di insuperabile stallo tra democratici e repubblicani, che ha portato all’archiviazione.
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