Sui colloqui scende il gelo
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Brexit/La possibilità di un no-deal è quasi certa. I mercati tremano. Conte: l’Italia è pronta

di Maurizio Salvi
LONDRA. Un divorzio gelido si profila sui cieli del destino di Londra e Bruxelles. L'unico elemento di accordo, per ora, è che l'accordo non c'è, e rischia concretamente di non esserci nemmeno in extremis, a tre settimane scarse dalla fine della transizione post Brexit: con il pessimismo che cresce a ogni ora che passa. Un no deal commerciale, ha tagliato corto la presidente della Commissione europea , Ursula von der Leyen, rivolgendosi ai leader dei 27, è ormai "più probabile" che non un'intesa dell'ultimo minuto alla scadenza delle trattative fra i team negoziali di Michel Barnier e David Frost fissata - salvo ripensamenti - per domenica 13. Di più, ha rilanciato il premier britannico Boris Johnson in toni persino più ultimativi durante una visita nel nord brexiteer dell'Inghilterra, è a questo punto "molto, ma molto probabile". Se non fosse per i pontieri superstiti, che affidano le speranze residue di una qualche ancora di salvezza all'immagine dello specialista di ultime spiagge James Bond ("Mai dire mai"), si potrebbe dire che la partita sia già chiusa. Mentre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, unisce la sua voce a quelle di chi avverte che "il tempo stringe", non senza assicurare che l'Italia si è preparata ed è pronta anche al peggio. Del resto, se è vero che le previsioni sono fatte per essere smentite, è altrettanto vero che la retorica incrociata - tra motivazioni autentiche e bluff estremi per spaventare la controparte - non lascia molto spazio a margini di compromesso. Mettendo in gioco interessi, ma anche visioni ideologiche difficili da conciliare. Sui due nodi più spinosi - il cosiddetto level playing field sull'allineamento normativo che dovrebbe garantire una futura concorrenza leale e l'accesso dei pescatori europei alle acque britanniche - von der Leyen ha ribadito che "un'equa concorrenza" blindata è una conditio sine qua non per l'Ue di fronte a un vicino delle dimensioni del Regno Unito, tanto interconnesso dopo 40 anni di matrimonio. Mentre ha negato che le garanzie pretese da Bruxelles al riguardo rappresentino un vulnus per "la sovranità" che Londra si picca di aver riconquistato col referendum del giugno 2016. Johnson, per tutta risposta, ha ripetuto di vederla esattamente all'opposto, almeno su questi specifici dossier. E dalle brume del Northumberland ha insistito che non ci potrà essere deal sull'auspicato trattato di libero scambio se dal continente non arriveranno "una grande offerta" e "un grande cambiamento di posizione". "Sfortunatamente al momento vi sono due questioni chiave sulle quali non sembra si facciano progressi", ha argomentato, rimarcando che il suo problema non è tanto accettare l'equiparazi ne normativa attuale con l'Ue su temi come gli aiuti di Stato, le tutele ambientali, i diritti dei lavoratori, quanto la pre- tesa europea di "ingabbiare" il Regno anche rispetto ad eventuali restrizioni future che i 27 dovessero decidere unilateralmente e a cui poi Londra dovrebbe adeguarsi pena ritorsioni automatiche. Senza dimenticare il "recupero del controllo delle nostre acque". Di qui la convinzione che un rapporto regolato solo "dalle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio", ossia un no deal, possa essere a questo punto inevitabile. Una soluzione non ideale, ha ammesso BoJo, ma a cui il suo Paese "saprà essere pronto" per costruire comunque un avvenire "meraviglioso": non senza l'accenno minaccioso a una potenziale guerriglia commerciale corsara se tutto andasse storto, contenuto nel richiamo all'idea che "dal primo gennaio prossimo", in mancanza di accordo, l'isola potrà fare "quello che vorrà". Una prospettiva forse un po’ sbruffonesca, tenuto conto dei prezzi che, in termini di dazi e barriere, rischierebbero di toccare - almeno nel medio periodo - soprattutto all'economia, al sistema doganale, ai rifornimenti, all'occupazione d'un Regno già provato, come il resto del mondo, dai contraccolpi dell'emergenza Covid. Ma non priva di conseguenze pesanti pure per tutto il Vecchio Continente, sullo sfondo degli scossoni che si abbattono fin da queste ore su ogni Borsa europea, oltre che sulla sterlina. In primis Paesi come la piccola Irlanda o la grande Germania, che non a caso appaiono i più cauti sulla rottura e ribadiscono, in un incontro a due fra i rispettivi ministri degli Esteri, di ritenere malgrado tutto l'intesa "ancora possibile". Mentre gli appelli all'unità dei 27 co fermano in realtà come sensibilità diverse non manchino, a dispetto del rifiuto opposto finora da Parigi e Berlino alla proposta avvelenata di Boris di colloqui bilaterali paralleli con Emmanuel Macron e Angela Merkel per provare a sbloccare l'impasse.
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