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Viitalizio a moglie e suocera del boss

CAMORRA/IL REDDITO DI CITTADINANZA ELARGITO AI FAMILIARI. “SIGILLI” DEI FINANZIERI



NAPOLI. Sotto forma di reddito di cittadinanza o di vitalizio per le vittime delle mafie, ingenti somme di denaro dello Stato sono finite nelle tasche di esponenti della criminalità organizzata e dei loro parenti: dopo il sequestro da oltre un milione di euro della scorsa settimana nei confronti di un centinaio di camorristi che percepivano indebitamente il “reddito”, la Guardia di Finanza di Torre Annunziata ha messo a segno ieri un altro colpo apponendo i “sigilli” a una parte del denaro che la suocera e la moglie di un boss ha intascato per 15 anni perché vittime innocenti della ferocia dei clan. Il decreto di sequestro preventivo urgente emesso dal procuratore Nunzio Fragliasso per il reato di “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” ammonta a oltre 166mila euro, una somma che rappresenta solo una parte del denaro finora percepito dalle due donne. Entrambe sono, rispettivamente, moglie e figlia di una vittima della cosiddetta “strage di Sant’Alessandro”, avvenuta a Torre Annunziata il 26 agosto 1984 (giorno in cui si ricorda il santo, ndr), nell’ambito di una feroce faida tra clan della zona un tempo alleati. Quel tragico giorno, a bordo di un bus turistico rubato alcuni giorni prima in una località turistica calabrese, un commando composto da 14 killer armati di tutto punto (fucili a pompa,AK47 e Uzi) determinati “a fare fuori” il boss Valentino Gionta, sparò all’impazzata davanti un circolo dei pescatori dove spesso si riunivano gli uomini del clan: otto persone persero la vita, alcune non legate ai clan, e altre 7 rimasero ferite. Tra le vittime innocenti c’era anche A.F., rispettivamente marito e padre delle due donne indagate le quali, 18 anni dopo la strage, ottennero il vitalizio riservato alle famiglie delle vittime della criminalità organizzata. La figlia della vittima della camorra, però, nel frattempo si è sposata con un elemento di spicco del clan camorristico dei Gionta il quale, nel corso degli anni, venne delegato dai vertici nella gestione del racket e delle piazze di spaccio della zona. Circostanza taciuta dalla donna la quale ottenne insieme con la madre il vitalizio. Nel 2009 la Prefettura di Napoli aggiornò le informazioni raccolte sulla loro situazione familiare, per verificare la loro estraneità ad ambienti delinquenziali ma le due donne inscenarono una finta separazione tra i coniugi davanti al Tribunale di Torre Annunziata, per non perdere il vitalizio. Circostanza questa, confermata dal fatto che, secondo gli investigatori, la coppia, diversi anni dopo, ha avuto anche un’altra figlia. La moglie del boss, e talvolta anche la suocera, tuttora continuano a recarsi in carcere dal boss, recluso dal 18 gennaio 2017 in quanto ritenuto responsabile di associazione di stampo mafioso, estorsione e rapina. Il sequestro da parte delle Fiamme Gialle, che hanno passato al setaccio le movimentazioni bancarie e finanziarie delle due donne, è stato reso possibile anche grazie alla stretta collaborazione con la Prefettura di Napoli. Mentre il parlamentare Pd, Paolo Siani, fratello di Giancarlo, ucciso dalla camorra, definisce “sconcertante” la vicenda, dal presidente della Fondazione Polis della Regione Campania, don Tonino Palmese “il primo pensiero va ai familiari delle vittime innocenti della criminalità” che non hanno mai goduto dei benefici.

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