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Non volevano giocare

Europei/ Uefa e danesi in polemica a causa delle opzioni offerte dopo il malore a Eriksen


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COPENAGHEN (Danimarca). Dopo aver visto Christian Eriksen stramazzare per un arresto cardiaco e poi essere trasportato in ospedale, hanno concluso controvoglia la partita contro la Finlandia, sentendosi messi con le spalle al muro dalla Uefa. Ora è lo stesso trequartista, in condizioni stabili e complessivamente buone come dicono dalla federcalcio danese, a esortare i suoi compagni di squadra a concentrarsi sul resto dell’Europeo, a cominciare dalla partita di giovedì contro il Belgio del suo amico Romelu Lukaku. Il giocatore è ancora ricoverato al Rigshospitalet di Copenhagen, è ancora presto per pensare al futuro. “Non è detto” che la sua carriera sia finita, osserva Bruno Carù, specialista in cardiologia e medicina dello sport considerato un luminare nella materia, “bisogna vedere la patologia: se è curabile, potrebbe tornare a giocare”. In ospedale vari specialisti stanno facendo esami sul suo cuore. Fuori, invece, è stato dipinto un enorme murale con il suo nome e la scritta in danese ‘1 per tutti, tutti per 1’. Un concetto cardine della nazionale danese già prima di questo episodio, in cui sono spiccate la leadership di Simon Kjaer e la prontezza del resto dei compagni nel fare scudo al giocatore esanime in terra. A ventiquattrore dal malore che ha tenuto con il fiato sospeso la sua famiglia e tutta quella del calcio, Eriksen ieri ha ricevuto la visita del portiere Kasper Schmeichel e ha parlato con i compagni collegati dal ritiro. “A modo suo ha detto che dobbiamo pensare alla sfida di giovedì. Significa tanto”, ha raccontato il centrocampista Pierre-Emile Hojbjerg, che sabato alla ripresa della drammatica partita ha sbagliato il rigore del pareggio. In campo in quel momento, però, non voleva esserci nessuno. “La Uefa - ha polemizzato Peter Schmeichel, leggenda del calcio danese - dice che i giocatori hanno insistito per giocare. Ma io so che questa non è la verità. Ai giocatori sono state lasciate tre opzioni: giocare subito gli ultimi 50 minuti, finire la par- tita il giorno dopo a mezzogiorno o dare forfait e perdere 3-0. Davvero i calciatori avevano scelta? Non credo che l’avessero”. “Possiamo categoricamente smentire che alcuna squadra sia stata minacciata con la sconfitta a tavolino” dice la Uefa in una dichiarazione, “sicura di aver gestito la questione con estremo rispetto verso la delicata situazione e i calciatori. È stato deciso di ricominciare la partita solo dopo che le due squadre avevano richiesto di concluderla la sera stessa. La necessità delle 48 ore di riposo per i giocatori fra un match e un altro ha eliminato ogni opzione”. In pratica, giocare lunedì sarebbe stato impossibile perché il prossimo match dei finlandesi è mercoledì. I danesi la vedono diversamente. “Non avreb-bero dovuto metterci in quella posizione”, conferma il figlio di Schmeichel, Kasper, suo erede anche fra i pali della Danimarca, secondo cui “forse si doveva attendere fino all’indomani per decidere”. E l’attaccante Martin Braithwaite aggiunge che i calciatori avrebbero “voluto una terza opzione, perché non volevamo giocare”.

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