Rivivono gli ebrei di Rodi
- direzione167
- 5 giu 2022
- Tempo di lettura: 2 min
NEW YORK/IN UNA VECCHIA “CARRIAGE HOUSE” NEL CUORE DEL WEST VILLAGE
di Alessandra Baldini

NEW YORK. In una vecchia “carriage house” nel cuore del West Village torna a vivere la comunità ebraica di Rodi sterminata ad Auschwitz nel 1944. L’installazione dal titolo evocativo “Los Corassones Avlan” (“I cuori parlano”, da un proverbio sefardita) permette scoprire la cultura e le tradizioni degli ebrei di quest’isola così vicina alla costa della Turchia che fu possedimento coloniale italiano dal 1912. Al centro di tutto c’è Stella Levi, una dei 161 “Rodeslis” (come si definivano gli ebrei della Juderia di Rodi, 4.000 prima della seconda Guerra Mondiale) usciti vivi dopo la deportazione nei lager permessa dagli italiani nel luglio 1944: il più lungo trasporto verso un campo della morte pose da un giorno all’altro fine a una delle più antiche e diverse comunità ebraiche del Mediterraneo. Rodi a quell’epoca era un melting pot di popoli e culture: persiana, greca, ellenistica, romana, bizantina, catalana, genovese, veneziana, ottomana. “Leggevamo Freud e Thomas Mann. Basta con le supersti- zioni”, ha raccontato l’ultranovantenne Levi in una intervista in vista della mostra creata dal Centro Primo Levi e dalla Rhodes Lewis Historical Foundation e a cui hanno contribuito anche Isabelle Levy, Erin Mizrahi, Rebecca Samonà, Natalia Indrimi e Alessandro Cas- sin. Stella era cresciuta in questo centro cosmopolita mediterraneo parlando Ladino (la lin-
gua degli ebrei sefarditi espulsi dalla Spagna nel 1492) oltre al francese e all’italiano.
Ispirata dai suoi ricordi, l’installazione multimediale ricrea la storia con la “s” minuscola: a raccontarla sono piccoli frammenti di memorie e una collezione di oggetti di casa Levi (libri e il sontuoso corredo nuziale di una sorella, ad esempio) e altri raccolti dall’avvocato di Los Angeles Aron Hasson in anni di ricerche e scambi tra la sua famiglia e altre della diaspora Rodesli. “Los Corassones Avlan” è ospitato sui due piani di un edificio ottocentesco che condivide il cortile con la birreria belga battezzata in onore del romanzo di Antoine Saint-Exupery “Vol de Nuit”, ma che prima era stato “The Samovar”: popolare bar e cabaret dove sembra Al Jolson abbia mosso i primi passi all’inizio della carriera. L’idea costruisce sul pro-
getto “the Rome Lab”, una installazione del 2017 che esamina la tensione tra memoria per- sonale, storia ufficiale, e dibattito storico contemporaneo: al visitatore è chiesto di immagi- nare un mondo lontano dal nostro ma che all’improvviso potrebbe diventare il nostro alla luce dei tempi turbolenti in cui viviamo.
Comments